Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Archivio per Maggio, 2016

Elezioni comunali a Primiero San Martino di Castrozza: uno sguardo a liste e programmi

Nei giorni scorsi sono state fatte conoscere ai residenti le idee programmatiche delle diverse liste in competizione nelle prossime elezioni del comune di Primiero San Martino di Castrozza. Sono cinque liste civiche, tre in coalizione con lo stesso candidato sindaco.

Dopo la lettura dei vari programmi, mi sono chiesto che cosa differenzi le cinque liste: per gran parte i contenuti sono i medesimi. Ci sono proposte particolari: cito quella della lista in appoggio al candidato sindaco Paolo Simion: impiegare il patrimonio di utili di ACSM (azienda consorziale elettrica e altro dei comuni), ora tenuti in banca (circa 23 milioni), per costituire un fondo di rotazione per investimenti di operatori privati (in effetti nel bilancio consolidato di ACSM non c’è una riga per spiegare se e come tali denari, non pochi, verranno impiegati), ma per lo più vi sono coincidenze.

Abituato a leggere al di sotto dei programmi o in dichiarazioni di principio sensibilità valoriali diverse, si stenta molto a trovarne. Una lista ha forse una sensibilità ambientalista maggiore, ma questa è comune a tutte. Un’altra è un po’ più precisa in merito al sostegno alle famiglie, ma l’affrontare il problema della migliore conciliazione tra lavoro e famiglia è comune. Nessun cenno ai temi divisivi che vanno per la maggiore a livello trentino e nazionale (oltre che europeo).

Parlando con un mio cognato, che conosce meglio di me le parentele dei quattro ex-comuni ora uniti, mi diceva che per la prima volta non vi sarà un voto di parentela: salvo eccezioni di gruppi parentelari senza candidati, le parentele più consistenti sono divise tra più liste e tra più candidati sindaci. Io stesso ho due nipoti (figli di sorelle) candidati in due liste con due candidati sindaci diversi. Altri amici con comuni storie politiche sono in un’altra lista ancora.

Ci si può allora chiedere che cosa motivi la proliferazione di liste: non l’ideologia, non i programmi, non le parentele. Ipotizzerei che il collante sia l’alleanza tra alcuni amici, tali da tempo o tali per aver avuto occasione di stare insieme per qualche attività. L’obiettivo: poter dire la propria, poter mettersi alla prova nella comunità più ampia, evitare che persone poco stimate governino la comunità locale, in qualche caso potersi spartire un po’ di “rendita politica” (cariche, incarichi, contratti, scelte urbanistiche, ecc.). L’immagine di ciascuna lista può essere diversa: ex-amministratori di maggioranza degli ex comuni, operatori economici, “giovani”, ambientalisti, “ex-oppositori”, ma essa rimanda più alle ragioni del coagulo interpersonale che a diversità di scelte politico-amministrative. L’aumentare poi il numero dei “coagulati” fino a giungere a completare la lista o ad avere le “donne” necessarie porta a ulteriore “varietà”.

Due considerazioni sulle liste “mancate”: a parte la provocazione per lo più solo mediatica del sindaco di Mezzano, sono quelle che facevano capo a Marco Depaoli e a Walter Taufer. La candidatura di Marco Deapoli aveva certamente un sapore più politico: che sia mancata è un segno della debolezza dell’appartenenza ai partiti, anche a quelli del “centro-sinistra autonomista” (gli altri non hanno neppure provato). Quella di Walter Taufer (amico da molti anni), aveva un sapore più civico, ma ha pagato lo scotto di una presenza quasi esclusiva a Siror: un coagulo di amici troppo limitato, per di più “colpevole” di non aver sostenuto esplicitamente lo scorso anno il progetto di fusione, anche se ora ne prendeva atto e vi si impegnava.

Cinque liste e tre candidati sindaci danno l’impressione di una comunità divisa; in realtà è divisa solo per le reti fiduciarie interpersonali, necessariamente di “piccolo gruppo”, cui sono connesse parzialmente moderate divisioni di interessi (spartizione della rendita politica). Non è divisa, invece, sui valori e sugli obiettivi da raggiungere. E questo è importante per avere qualche incidenza sulle scelte politiche provinciali. Galleria e non variante di percorso per l’accesso al Rolle, miglioramento della strada dello Schener, circonvallazione dell’abitato multicentrico comunale di fondovalle, autonomia nell’uso delle risorse energetiche (no a incorporazioni di ACSM e Primiero Energia), investimenti nel sistema impiantistico e nel collegamento San Martino-Rolle, mantenimento dei servizi scolastici, sono solo alcuni dei temi nel quali Primiero si presenta unita nel confronto con la Provincia, titolare di competenze e denaro pubblico per esercitarle. E’ un fatto positivo.

Xenofobia: uso improprio del termine

di il 7 Maggio 2016 in migrazioni con Nessun commento

In questi giorni è frequente l’uso del termine “xenofobia” per qualificare la caratteristica dominante di posizioni politiche che propongono limiti più o meno stretti all’entrata di immigrati nel territorio di uno stato. E così giudicato espressione di xenofobia il successo del candidato del Partito Liberale in Austria, come lo sono le decisioni del Governo austriaco circa il controllo del confine del Brennero, ecc.. Anche l’articolo di Gianni Bonvicini su l’Adige del 28 aprile parla di “destra xenofoba” a proposito di partiti che in alcuni paesi (oltre a Austria, Ungheria, Polonia, anche Francia, Gran Bretagna, Svezia, ecc.) hanno consensi crescenti su posizioni di stretto controllo dell’immigrazione. Credo che valga la pena approfondire la natura dei fenomeni che sono a mio avviso indebitamente accomunati come xenofobia.
La “fobia” è una irrazionale, istintiva, paura, fino a giungere al panico. L’esempio più ricorrente e che ho visto in compagni di viaggio è la “claustrofobia”, ossia il forte istintivo disagio nel viaggiare ad es in una lunga galleria o nello scendere in una profondo pozzo di una miniera. Nel caso della xenofobia si sperimenterebbe un forte disagio a stare ad es. in una grande piazza affollata di stranieri. C’è chi prova il disagio anche se si trova nella piazza affollata da connazionali: si parla di “agorafobia”. Si può certamente provare disagio (sento amici che me ne parlano) se in piazza Dante o in alcune vie del centro storico si cammina incontrando solo molte persone straniere: è un sintomo di xenofobia. Non mi pare però che siano queste le ragioni per le quali si chiamano xenofobe le posizioni politiche di chi non desidera che vi sia un’immigrazione numerosa di stranieri. Le ragioni stanno nel voler qualificare negativamente tali posizioni. Al fondo sta la legittimazione o meno dell’autogoverno dei popoli, che sta alla base dello stato moderno (sovranità, popolo, territorio). Generalmente è ancora accettato che le famiglie che abitano in una casa possano chiudere le porte e decidere se e a chi aprirle. E’ invece sempre più messo in questione il diritto di un popolo che vive da sovrano in un territorio di decidere se e chi far entrare nel suo territorio. Tutta l’ideologia dello stato nazionale è basata sul potere di autogoverno di un popolo che parla per lo più la medesima lingua e ha vissuto vicende storiche comuni. Nella dialettica destra-sinistra è certamente la destra a sentire di più il valore della nazione, ma basterebbe ricordare che fu Giuseppe Stalin, che le sinistre hanno celebrato fino a che Kruschev non ne ha denunciato i delitti, a scrivere un saggio che valorizzava la nazione, a correzione del tradizionale “internazionalismo” socialista.

La Costituzione italiana, certo non scritta dalle destre nazionaliste, dichiara che la sovranità appartiene al popolo, e il popolo è la nazione italiana, con un suo proprio territorio “nazionale”. Nelle recenti modifiche approvate in Parlamento la preminenza su ogni autonomia è data “all’interesse nazionale”. Accordi e Trattati internazionali possono essere stabiliti, ma il soggetto che in ultima istanza ha il potere è lo Stato nazionale, anche nell’Unione Europea.

La regolazione dei flussi di persone e beni attraverso i confini è quindi un diritto e un potere senza il quale manca la sovranità, manca il potere di governare la collettività che vive nel territorio. Qualificare l’esercizio di tale diritto come espressione di xenofobia è quindi in definitiva fuorviante, buono per una polemica politica artefatta, ma non per capire la natura dei fenomeni sociali e politici relativi alla gestione dei confini.

Si tratta di una situazione da superare, orientando gli assetti politici verso uno stato non più nazionale, ma globale, dove i confini interni sono semplici confini amministrativi? Si può coltivare questa prospettiva, ma ho l’impressione che, senza una società e una cultura realmente “globali”, uno stato globale sarebbe in ogni caso fragilissimo, con religioni, valori, lingua, storie, razze (per quanto valga questo concetto) diversi, che favoriscono conflitti e secessioni. Già ci sono difficoltà nella creazione di una società e di una cultura solo “europee”, come si constata anche in questi giorni! E anziché delegittimare chi rivendica un controllo dei confini servirebbe di più un razionale confronto sul regime preferibile di tale controllo.

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