Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Esigenze di salute o di risparmio? La chiusura di reparti maternità

di il 22 Febbraio 2015 in servizi pubblici con Nessun commento

 

in Trentino è vivo il dibattito sulla distribuzione territoriale delle strutture sanitarie e ospedaliere; vi è una netta contrapposizione tra chi vuole accentrare e chi vuole invece mantenere ospedali di valle non ridotti a poche funzioni. Il Governo nazionale, da parte sua, ha dato indicazioni circa il numero minimo di casi da trattare per mantenere un’attività in un ospedale, giustificandolo con esigenze di sicurezza dell’utente. Al di sotto di un certo numero di casi trattati, l’esperienza dei medici sarebbe insufficiente a garantire buona qualità. Medici e da mercoledì scorso anche la Consulta della Salute si pronunciano per l’alta qualità e quindi per l’accentramento. Gli abitanti delle valli che vedono ridotte le funzioni dei propri ospedali invece protestano.

Non ho le competenze in campo sanitario per dire chi abbia ragione. Tuttavia ricordo come, ormai anni fa, quando ebbi l’incarico di collaborare, in quanto professore universitario, allo studio delle dimensioni ottimali dei bacini di utenza per i servizi pubblici, tra i quali anche quelli sanitari, registravo enormi differenze, dell’ordine di dieci volte tanto, fra i risultati di studi sulle dimensioni ottimali e prescrizioni pianificatorie che riguardavano ad es. la Germania e quelle che riguardavano la Svizzera. Mi domando sulla base di quali criteri si siano ora formulate per l’Italia scelte di ottimalità (o meglio, di ambiti minimi). Se tra Germania e Svizzera i tecnici davano orientamenti così diversi, vuol dire che venivano adottati criteri diversi, che poco avevano a che fare con la qualità dei servizi, dato che i servizi sanitari svizzeri non mi paiono al di sotto di quelli tedeschi.

E’ interessante notare come nel dibattito si parla di qualità del servizio, ma non si considera come la buona qualità di un servizio dipenda anche dalla sua accessibilità. Non si potrebbe dire che la qualità dei servizi sanitari è buona se per normali interventi i trentini dovessero recarsi a Verona; magari la qualità dei medici e delle strutture di Verona, trattando molti casi e giovandosi di una struttura universitaria, è migliore di quella realizzabile in Trentino, ma non si potrebbe dire che nel suo complesso il sistema sanitario per i trentini sarebbe di qualità. L’accessibilità è componente essenziale della qualità di un servizio.

Ovvio che le soglie di accessibilità possono variare in relazione al tipo di prestazione sanitaria; tuttavia v’è da chiedersi se l’assistenza richiesta per un parto normale sia comparabile con quella di interventi poco frequenti e di alta specializzazione. Non solo la maggior parte delle persone della mia età sono nate in casa, ma il partorire in casa è divenuto di nuovo una pratica sostenibile; che un ospedale di zona non sia in grado di dare questa assistenza mi sembra poco credibile. Si dica che si vuole risparmiare, scaricando sugli utenti delle valli il costo dell’accentramento. E così, penso, si dovrebbe dire di molti altri tipi di intervento, anche chirurgici. Sta alle strutture sanitarie non ospedaliere indicare i casi individuali nei quali serve una struttura ospedaliera più dotata di quella di zona o di quella provinciale.

Credo che alla base del conflitto oggi in atto sulla concentrazione o meno dei servizi ospedalieri stia anche il luogo di origine o di residenza di chi esprime i vari orientamenti. Chi risiede a Trento ovviamente percepisce poco il senso di deprivazione che invece sente chi, in una valle, vede ridursi i servizi ospedalieri. E forse ciò pesa anche nelle posizioni assunte dall’assessora provinciale alla Sanità, da medici, da esponenti della Consulta per la Salute. Il non sperimentare i costi della perifericità fa essere ad essi meno sensibili. Provino a pensare come si sentirebbero se la futura Regione Triveneto un domani dovesse decidere che a Trento debbano essere tolte alcune dotazioni di servizi, per le quali diventerebbe necessario andare in qualche centro veneto meno periferico e con più casi trattati.

Da ultimo un’osservazione: come mai il potere regolativo del Governo nazionale si estende anche a prescrivere norme organizzative da osservare anche da parte di quelle Regioni ad autonomia speciale, che per la sanità non dipendono da finanziamenti statali? Si capisce il limite dei “livelli essenziali di assistenza”, che devono essere garantiti a tutti gli italiani. Non si capisce che il Governo intervenga anche su aspetti organizzativi: è un’evidente lesione dell’autonomia.

 

 

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