Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Persone

Un monumento a Trento a Mauro Rostagno?

di il 31 Dicembre 2019 in Persone con Nessun commento

Sull’edizione del Trentino del 12 marzo scorso è pubblicato un articolo a firma S.A.M. Che sponsorizza la donazione e di fondi per erigere un monumento a Mauro Rostagno. A parte il fatto che se è vero, come afferma l’articolista, che in risposta all’appello di alcuni amici di Rostagno per tali donazioni fluisce denaro da tutta Italia, non si capisce perché chiedano, anche tramite il Trentino, altri fondi da parte dei trentini (ma, si sa, di denaro ne serve tanto se per una putrella di ferro che regge un masso di porfido non sono sufficienti i 33.000 euri già raccolti), ciò che colpisce è il panegirico di Rostagno per il suo ruolo avuto a Trento.

So solo quanto riportato dai giornali per il suo ruolo avuto in Sicilia, ricordato anche dal siciliano Presidente della Repubblica Mattarella per il suo impegno contro la mafia. Ma conosco benissimo il suo ruolo avuto a Trento. Per l’articolista, Rostagno si sarebbe impegnato per la difesa degli oppressi e degli sfruttati. Se lo fece, lo fece nel modo nel quale svolsero tale impegno gli estremisti rivoluzionari dell’ideologia marxista, un modo rifiutato anni più tardi dallo stesso Rostagno a Trento, che affermò che per fortuna i progetti rivoluzionari perseguiti da lui e da una parte del movimento studentesco non avevano avuto successo.

Meraviglia ancora che l’articolista voglia ricordare Rostagno come “uno dei principali ideatori della riforma universitaria”. Di quale riforma universitaria si tratta? Rostagno accusava come “retrogradi” i riformisti. Serviva la rivoluzione sociale, che comprende anche l’uso della “violenza rivoluzionaria”. Per tale rivoluzione andò con amici a Milano, prima di terminare gli studi. E a questa doveva accompagnarsi la rivoluzione dei costumi, le esperienze delle “comuni” familiari. E più tardi fu in India nel movimento degli “arancioni”. L’articolista menziona anche Rostagno come ideatore dell’esperienza dell’università “critica”, allora detta anche “negativa”. Mi risulta che i padri di tale idea fossero altri e comunque coloro che la sperimentarono a Trento portano sulla coscienza un’intera generazione di laureati in sociologia che pagarono con la dequalificazione professionale l’esasperazione di un approccio alla scienza sociale che non può essere “alternativo”, come ideato dai suoi promotori, ma può giustamente portare solo a un’attenzione critica al sapere “positivo”, come con decenni di lavoro di professori e studenti seri si è riusciti a fare poi anche a Trento.

Non so chi sia l’articolista, del quale sono rese note solo delle iniziali; di certo non ha vissuto a Trento nel periodo di Rostagno o se lo ha fatto si è identificato con qualcuno dei suoi amici che ora vogliono nascondere i fallimenti con una santificazione di colui che dei fallimenti è stato guida carismatica. Bene, se poi, in Sicilia, Rostagno ha cambiato idee e pratiche. Ma non vedo perché non si debba dire la verità sul suo periodo trentino.

scritto 12 marzo 2019

La figura di Mauro Rostagno: risposta a Bruno Ballardini

di il 31 Dicembre 2019 in Persone, università con Nessun commento

Sul Trentino del 19 marzo è pubblicata una lettera di Bruno Ballardini, che, da non credente, ricordando quanto sentito frequentando la dottrina cristiana dei pomeriggi della domenica (quando non c’erano, per i più, mezzi di trasporto a motore per spostarsi e TV da vedere), ossia la comprensione per la fragilità umana e per la possibilità del riscatto come esemplificato dalla parabola del figliol prodigo, mi rimprovera di incoerenza per il mio giudizio negativo su Rostagno.

Ringrazio Bruno Ballardini per le parole gentili e per il tentativo di “correzione fraterna” nei miei confronti, altra pratica che si insegnava nei corsi di “dottrina”. Volevo rassicurarlo che non vi è nulla di personale nel mio giudizio su Rostagno, che, anzi in un paio di occasioni , in quanto ero da lui visto come “vero proletario” ( e non sbagliava), mi ha tutelato da reazioni aggressive di suoi seguaci. Si tratta solo di non lasciare passare, senza reazioni, il tentativo di suoi seguaci di “santificazione” di Rostagno, almeno per quanto riguarda il periodo trentino. Si può anche divergere su cosa sia la “santità”, specie se essa è vista da persone con visioni dell’uomo e del mondo molto diverse. Ciò che non mi sembra ammissibile è costruire il “mito del santo” sulla base di affermazioni non corrispondenti in alcun modo alla realtà, contraddette anche da esplicite affermazione del “santo” per continuare a far pressioni su pubbliche autorità e sui cittadini per donazioni per far erigere un monumento. Lo possono fare i seguaci, ma mi sembrava troppo che lo facesse anche il giornale che lei da pochissimo dirige.

Ballardini ricorda male un episodio che è di memoria comune tra gli studenti degli anni del Rostagno studente a Trento. Rostagno non indisse un’assemblea per evitare un esame di matematica, ma, essendo di sera senza più luce naturale, fece far saltare l’illuminazione dell’intero palazzo di via Verdi per poter senza più controlli passare gli esercizi dell’esame di matematica a chi poteva poi riconsegnarli a lui e agli amici suoi (che di matematica non ne sapevano tanto) già svolti. E andò proprio così. L’autorità accademica non ebbe il coraggio di far annullare la prova scritta di matematica (allora obbligatoria) e così Rostagno con i suoi amici superarono l’ostacolo. Certo poca cosa per coloro che dicevano inutile studiare dato che con l’autunno del 1969, con la saldatura tra rivoluzione studentesca e rivoluzione operaia, sarebbe arrivato in Italia un regime rivoluzionario dove a governare non sarebbero più stati i “competenti” in scienze borghesi e reazionarie, ma i rivoluzionari. Poca cosa rispetto a ciò che avrebbe colpito l’Italia col terrorismo, che traeva ispirazione dalle idee rivoluzionarie delle quali Rostagno di faceva portatore e da reazioni violente di matrice opposta. Poca cosa, ripeto, ma che qualcosa dice sulla “santità” a Trento. Basta la conversione della lotta alla mafia, pagata, come certo o assai probabile, con la vita, perché Trento debba vantare il Rostagno “trentino”? Una targa all’Università lo ricorda in modo equilibrato. Tanto non è stato concesso ai fondatori della sociologia a Trento, rei di non essere stati “rivoluzionari”. Si è fatta eccezione per Kessler e per Andreatta, nessuno sociologo, ma ricordati per il ruolo politico. Dobbiamo pagare un altri tributo al “mito del 68” cui la sinistra, compresa quella del Comune di Trento, continua a sentirsi legata?

scritto 19 marzo 2019

In memoria di mons. Silvio Gilli

di il 31 Dicembre 2019 in COMMERCIO, Persone con Nessun commento

L’Adige del 30 marzo pubblica un ricordo di don Silvio Gilli scritto da Giampaolo Andreatta: episodi di vita che arricchiscono la descrizione di un prete un po’ “speciale”, sia per lo stile di comportamento sia per la missione che ha svolto in Vaticano. Aggiungo anch’io un episodio personale: neo-eletto alla Camera dei Deputati nel 1994, un po’ spaesato quanto a sistemazione alloggiativa, telefonai a don Silvio, in Vaticano, se poteva indicarmi qualche sistemazione un qualche struttura ricettiva religiosa, meno cara e meno soggetta all’incertezza delle prenotazioni di un albergo. In un attimo telefonò e mi trovò la camera presso un convento di suore, alle spalle del Vaticano. Purtroppo l’ora del rientro serale non era spesso compatibile con gli impegni e così, dopo poche settimane, scelsi di andare in albergo presso i Fori Imperiali, gestito dai frati di padre Massimiliano Kolbe, finché poi non trovai una sistemazione stabile in una camera d’affitto. Sento ancora riconoscenza per la cortesia usatami da don Silvio, che ogni tanto rivedevo a Trento per la visita di un collega sociologo che lo aveva conosciuto in uno dei viaggi in Cina organizzati da don Demarchi.

Ai funerali a Gardolo, oltre ai tantissimi preti con il vescovo emerito e tanta folla, il vescovo in carica mons. Tisi ha delineato la figura di don Gilli in modo appassionato (era stato, ha detto, suo confessore), insistendo sulla sua mitezza e sul grande amore per la Chiesa. Una sua nipote lo ha ricordato con grande affetto: sapeva “tenere insieme” la famiglia. Un esponente della San Vincenzo e un altro dell’Apostolato della Preghiera ne hanno ricordato le attività, carità e preghiera. Nessuno ha fatto cenno al suo impegno come assistente ecclesiastico dell’Associazione Famiglie Numerose, trasformata poi in Associazione Trentina della Famiglia, rette da una figura di spicco del Trentino, il prof. Sisto Plotegheri (del quale sono stato successore), aiutato da soci sostenitori, anche finanziariamente, come Tullio Odorizzi.

Sono stati gli anni nei quali l’Associazione era tra i promotori in Italia del referendum sulla legge che introduceva in Italia il divorzio e di quello, successivo, sulla legge che legalizzava l’aborto. Seguirono convegni europei in materia, uno dei quali tenuto, guarda caso, a Verona, e l’Associazione presieduta da Plotegheri era co-organizzatrice. Ebbene, don Gilli non aveva remore nel sostenere tali iniziative e, a differenza della chiesa trentina di oggi, che critica il Congresso Mondiale sulle Famiglie di Verona perché “odora” politicamente di destra, poco gli importava che a favore della stabilità della famiglia e per la difesa della vita vi fossero, in entrambe lo occasioni, oltre alla Democrazia Cristiana, un partito di destra (quella vera e storica): ciò che contava erano i contenuti, era la sostanza delle posizioni sostenute. E non taceva per la paura di “andare contro” su temi allora assai divisivi. Altra tempra di cristiano e di prete, che sapeva unire mitezza, preghiera e impegno per principi fondamentali in merito a vita e famiglia.

Avrei desiderato ricordare ciò al funerale di don Silvio, ma non sarebbe stato certamente gradito. Mi affido a l’Adige, sperando che ritenga giusto completare il profilo di un prete mite e umile, ma non fino al punto di tacere su principi fondamentali o di criticare chi li difende perché poco gradito politicamente.

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