Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Archivio per Gennaio, 2016

Anno santo della misericordia: da dove?

di il 16 Gennaio 2016 in religione con Nessun commento

Si moltiplicano le “porte sante” e i richiami alla misericordia di Dio. Confesso che stento a mettermi in sintonia, complice, forse, anche la conoscenza da sociologo delle dinamiche dell’etica nelle nostre società occidentali o occidentalizzate. La misericordia è apprezzata da chi ha commesso delle colpe o da chi, essendogli state perdonate le colpe, vede ridotta la pena. Non mi pare che nelle nostre società vi siano le condizioni per apprezzare la misericordia di Dio. Il senso del peccato si è assai ristretto; si sono scoperti peccati “sociali” (specie in materia ambientale), ma pochi sono i peccati personali che la coscienza sente con forte rimorso. Per i primi la misericordia riguarda, semmai, l’intera società e ciascun individuo facilmente si ritaglia un ruolo di quasi innocenza. Per i secondi non mi consta che i cristiani avvertano con paura il castigo di Dio. Per molti , nei rari casi sentiti dalla coscienza, basta un pentimento; per ormai pochi si ricorre alla confessione, dopo la quale tutto è risolto, tutto è perdonato. Ancor meno avvertito è il timore della pena, che le indulgenze concesse dalla Chiesa, tra le quali quelle plenarie, e tra esse quelle giubilari, promettono di ridurre o eliminare. Il permissivismo etico è un tratto caratteristico delle nostre società, salvo che per qualche azione particolarmente odiosa e “anti-sociale”. Non è un caso che nel celebrare la messa non siano rari i sacerdoti che, nella parte penitenziale iniziale, invitano a chiedere perdono non più dei “peccati”, ma delle “difficoltà”, avendo il pudore di usare una parola che la gente, anche quella fedele, stenta ormai a capire.

Mi sono chiesto perché, allora, Papa Bergoglio abbia indetto un Giubileo della misericordia. E ho ipotizzato due spiegazioni. La prima rimanda al divario di secolarizzazione esistente tra l’Europa secolarizzata ed eticamente relativista e le comunità cristiane dell’America Latina, dalle quali Papa Bergoglio proviene. Il venire dalla Polonia spiegava alcuni accenti di Papa Voityla; il venire dal Sud America può spiegarne altri di Papa Bergoglio. Da quel poco che conosco, in base alle ricerche compiute anni fa sui valori in Brasile e Argentina, in quelle società la secolarizzazione e il relativismo etico erano significativamente minori che in Europa (Italia compresa). Il senso del peccato e il timore del giudizio di Dio vi sono più vitali.
La seconda rimanda al “progressismo cattolico”, cui molti ascrivono anche Papa Bergoglio, e che ebbe proprio anche in America Latina vivaci manifestazioni dopo il Concilio Vaticano II. Per i progressisti è importante che la Chiesa non entri in conflitto con “il mondo”, ma con esso stabilisca un dialogo volto alla comprensione, nella fiducia che ciò che accade sia “segno dei tempi” segno che manifesta la presenza dello Spirito nella storia. Ovvio che questa impostazione valga anche per la secolarizzazione, percepita allora dai progressisti come “purificazione” del messaggio evangelico e valga per l’etica, specie nell’ambito della vita, della sessualità e della famiglia, quello che più si distanzia nelle nostre società dall’etica tradizionale cattolica. Solo in pochi casi si è giunti da parte di moralisti cattolici (più spesso da protestanti) a legittimare moralmente i rapporti sessuali prematrimoniali, il vivere una sessualità omosessuale, il divorzio (tra i cattolici sotto forma di facile dichiarazione di nullità del matrimonio), ecc. ma è invece diffusissima la convinzione, anche nel clero, che a proposito di tale ambito dell’etica, più che di veri e propri peccati (e non si dice più “gravi”) si tratti di “debolezze”, “difficoltà”, che la “misericordia di Dio” non può che considerare trascurabili. L’insistere sulla “misericordia” ( e sorprende che di questo messaggio ecclesiale si facciano portavoce mass media di solito poco inclini a sostenere il magistero ecclesiale) altro non sarebbe, quindi, che una manifestazione dell’indebolimento delle certezze etiche, per non entrare troppo in conflitto con il relativismo etico della cultura dominante.

Da padre di famiglia, constato che il rimprovero ai figli è in generale in proporzione alla gravità delle violazioni di norme e valori. Su cose da poco si può passare sopra; su fatti gravi prima di dare il perdono serve un ravvedimento profondo e talora anche un castigo. Se si insiste sulla misericordia, senza prima richiamare la gravità delle violazioni, si dà l’impressione che in fondo, quelle mancanze non siano poi così gravi. Altrimenti ci sarebbe un castigo (la pena). Perché Dio Padre non dovrebbe comportarsi come un buon padre?
Non si può escludere che entrambe le spiegazioni ipotizzate abbiano elementi di verità. Sarebbe interessante capire se vi sono altre spiegazioni. L’assumere il messaggio giubilare in modo acritico, come sembra facciano i più, non mi sembra il modo migliore per vivere la Chiesa.

Coppie di omosessuali: nebbie artificiali su riconoscimento e adozione figli

di il 7 Gennaio 2016 in famiglia con Nessun commento

la discussione in Senato del disegno di legge Cirinnà (PD) a fine gennaio ha moltiplicato i dibattiti sul riconoscimento da dare ai rapporti di coppia fra omosessuali. Gli schieramenti pro e contro si sono abbastanza delineati. Ed emergono divisioni non solo tra formazioni politiche, ma anche al loro interno. I temi più dibattuti sono la natura di ciò che è riconosciuto e le conseguenze del riconoscimento. Secondo coloro che, sensibili alla tutela della famiglia, militano in gruppi politici che vogliono il riconoscimento delle coppie omosessuali, costituirebbe un fatto positivo il fatto che nel disegno di legge il riconoscimento sarebbe diventato ancorato all’art. 2 della Costituzione (riconosce le formazioni sociali nei quali si sviluppa la personalità) e non all’art. 29 che riguarda la famiglia fondata sul matrimonio. A parte che anche la famiglia è una “formazione sociale”, il fatto che il richiamo sia all’art. 2 e non al 29 ha solo un tenue valore simbolico. Di fatto non cambierà in nulla la percezione sociale di una coppia omosessuale come una delle espressioni della sessualità di coppia, al pari della coppia formata da uomo e donna.
Il fatto trova esplicita immediata conferma proprio nella stessa legge, che prevede che una coppia di omosessuali possa avere dei figli; poiché biologicamente questo può accadere solo per uno dei maschi, si dà la possibilità all’altro di adottare (con formula speciale) il figlio concepito con il seme del compagno. Chi sostiene il disegno di legge afferma che, una volta che il figlio esiste, è meglio per lui che tutti e due i componenti della coppia siano responsabilizzati come “genitori”. L’adozione del figliastro sarebbe quindi il modo di mettere al centro gli interessi del bambino. Non cambia molto la proposta di far precedere l’adozione da un periodo di “affidamento rafforzato”, rafforzato perché non richiede revisione biennale. Si tratterebbe, anche in questo caso, di una differenza dal tenue valore solo simbolico. Di fatto anche questa proposta emendativa, che forse verrà presentata dai “cattolici” del PD, non fa venir meno la principale controindicazione della norma sulla filiazione della coppia omosessuale maschile: l’incentivo a procurarsi un figlio ricorrendo al pagamento di una donna affinché si presti a una gravidanza, il cui figlio verrà poi consegnato, appena nato, al pagatore. I difensori del disegno di legge Cirinnà fingono di non accorgersi dell’incentivo alla maternità su pagamento che deriva da tale legge, affermando che in Italia la pratica dell’”utero in affitto” è vietata. Tacciono sul fatto che in alcuni altri paesi è legale (e quindi utilizzabile anche da italiani) e si oppongono a che la legge italiana consideri reato il ricorso all’utero in affitto anche se compiuto all’estero. Non dicono, inoltre, che quella pratica è antiumana per la donna e per il figlio “prodotto”.E’ l’evidente conferma che la filiazione è considerata coessenziale al riconoscimento della “formazione sociale” coppia omosessuale”. La stessa codificazione di altri diritti, tra i quali la più rilevante e costosa, la “reversibilità” della pensione, rende evidente come la legge Cirinnà introduca in Italia il matrimonio tra omosessuali, chiamandolo in altro modo, “unione civile”.
Gli schieramenti parlamentari fanno prevedere che con i voti PD,M5S, Sinistra, Verdiniani e altri il disegno di legge Cirinnà verrà approvato. Credo che si tratterà di un altro passo in direzione negativa, cui probabilmente nemmeno Sodoma e Gomorra erano arrivate, se non altro per l’indisponibilità delle tecniche di procreazione oggi disponibili. Il rispetto per il bambino e per la donna cedono il passo alla soddisfazione di un desiderio di un figlio da parte di una coppia di soli maschi. Spero, solo, che un referendum possa poi almeno in parte rimediare. Ciò che mi scandalizza è lo scarso valore che alla questione è data dal gruppo parlamentare di “Area Popolare”, il Nuovo Centro-destra e l’UDC insieme, disposti a continuare a far parte di un’alleanza di governo con il PD, principale proponente della legge. V’è da chiedersi quale debba essere la divergenza politica con il PD per mettere in questione la collaborazione di governo. Se su questi valori si è disposti a digerire tutto, vuol proprio dire che nessun valore conta più della rendita politica derivante dal far parte di una maggioranza governativa. E questo mi dispiace particolarmente perché del gruppo parlamentare dell’UDC a lungo ho fatto parte.

Conflitto di interesse e ipocrisia diffusa

di il 2 Gennaio 2016 in COMMERCIO con Nessun commento

in questi giorni si è aperto il dibattito sul modo nel quale sono gestite le banche, con particolare riferimento a quella dell’Etruria, per la quale il Governo non ha attivato procedure di salvataggio, facendo così pagare per il fallimento non solo gli azionisti, ma anche i possessori di un particolare tipo di obbligazioni (dette “subordinate”). Sotto accusa degli amministratori che avrebbero favorito per i prestiti loro stessi o loro amici, superando le necessarie prudenze nel concedere denaro. Il fatto che amministratore sia stato e sia anche il padre della ministra delle riforme Boschi ha avuto risvolti politici, con mozione di sfiducia alla ministra da parte del M5S.

Mi sembra di dover notare nei commenti a tale vicenda una notevole dose di ipocrisia; mi chiedo se non sia del tutto normale nella nostra società che si aspiri a cariche da cui dipendono decisioni rilevanti per interessi propri o di amici o clienti semplicemente per tutelare tali interessi. Accade così nelle cariche societarie di imprese economiche, tra le quali le banche, che hanno poteri economici rilevanti sul credito, ma accade così anche per le cariche amministrative, politiche, in associazioni che hanno qualche potere. Il “conflitto di interesse” è condizione normale: il primato spetta assai spesso all’interesse proprio o dei propri amici o clienti; quello dell’istituzione è per lo più posposto, se pur si riesca a capire quale sia, distinto da quello dei decisori.

Da sociologo non posso che rilevare come la struttura formale di un’associazione, di un’impresa o di un’istituzione raramente trovi corrispondenza in quella informale, che cerca di essere poco visibile. Le “regole” manifeste chiedono rispetto dei fini istituzionali; le esigenze di chi amministra non si compongono di necessità con i fini istituzionali, e a prevalere, di norma, sono esse.

Quanti sono gli amministratori comunali che tali sono diventati per poter controllare a vantaggio proprio o di amici o clienti le decisioni comunali in materia di urbanistica o di assegnazione di contratti di acquisto o d’opera? E come si spiega la competizione per diventare amministratori della casse rurali? Devozione verso gli ideali della cooperazione? E quella per entrare nei Consigli di Amministratori di enti vari? Disinteressato impegno per i fini dell’ente?

Le uniche cose che possono variare sono la misura nella quale si persegue l’interesse “particolare” e la procedura più o meno accorta con la quale si maschera tale interesse.

Non ci si può nascondere che vi sia che resta fedele, nel suo amministrare, solo agli interessi istituzionali; non è impossibile e dipende dalla statura morale dell’amministratore. Ma questa dipende dalle convinzioni circa il senso della propria vita. Non è un caso che nelle indagini sui valori, che da oltre trent’anni seguo, sia proprio una più forte religiosità a nutrire un maggiore rigore etico, e non solo in tema di sessualità e vita, ma anche in tema di doveri verso la collettività.

Che senso ha, allora, denunciare i tradimenti dell’interesse collettivo, lo stravolgimento dei fini istituzionali per un interesse egoistico, e nello stesso tempo svalutare la religiosità, limitarne la portata e il significato anche sociale in nome di una “laicità” che rende “sacri” valori della struttura formale, che è vuoto simulacro se manca un fondamento nei “valori ultimi”?

popolarismo e liste civiche

il Trentino del 23 dicembre pubblica un ampio intervento di Elena Albertini in merito al possibile raccordo tra formazioni civiche ed espressioni politiche del popolarismo, analizzandone le condizioni. I riferimenti sono fondamentalmente alla realtà trentina, ma il tema si sta ponendo anche su scala nazionale. Al seminario di Orvieto del 28 e 29 novembre scorsi (che ha approvato il Patto di Orvieto) partecipavano non solo formazioni politiche di ispirazione popolare, ma anche esponenti di esperienze elettorali civiche rilevanti anche a livello regionale (es. in Puglia, in Umbria). Si sta assistendo a un processo di riorganizzazione politica dell’area che alcuni chiamano “moderata” (come se quella egemonizzata da PD di Renzi non lo sia), ma che preferirei definire di ispirazione popolare, che trova radici nell’umanesimo cristiano, liberale nel senso di Rosmini e Sturzo ma anche sociale (dottrina sociale della Chiesa, mutualismo, cooperazione, sindacato, economia sociale di mercato), quell’umanesimo che ha informato di sé la Costituzione italiana.

Elena Albertini condiziona la ripresa di tale presenza politica all’emergere di un leader che sappia coagulare e attrarre consensi. Per ora tale leader non emerge, ma credo che il processo possa essere costruito ugualmente. Uno dei fattori che ha facilitato tale processo sta nella convinzione che il valore della democrazia come partecipazione non debba essere posposto alla rapidità dei processi decisionali garantiti dalla concentrazione del potere in una persona, in qualsiasi modo essa sia stata scelta direttamente alle elezioni. Tale posposizione era avvenuta prima con Berlusconi ed ora con Renzi. Tutta l’esperienza democratica della Repubblica fino ai primi anni Novanta era connotata dalla partecipazione, coinvolgendo le varie formazioni sociali; non era limitata al momento elettorale, peraltro pur esso attento alla rappresentatività, alla corrispondenza tra suffragi ottenuti e rappresentanza nelle istituzioni deliberative, principio regolativo essenziale della democrazia. La partecipazione motivava anche il rispetto delle autonomie, sociali e territoriali. Il movimento delle liste civiche esprime il desiderio di poter partecipare alle scelte di interesse della comunità, disconoscendo i partiti affermatisi negli ultimi vent’anni come strumenti efficaci per realizzare tale desiderio. E il fatto che quote rilevanti dei cittadini sentano tale movimento come positivo lascia sperare che la situazione possa cambiare. A ben pensare anche il rifiuto di votare è sintomo di distacco da un sistema politico verticista, come lo è l’innamoramento per metodi di partecipazione elettronica tipica del Movimento 5 Stelle, pur essendo tali metodi altamente selettivi, lasciando fuori dai processi partecipativi la grande maggioranza dei cittadini.

A livello nazionale le formazioni politiche interessate alla ricostruzione del popolarismo stanno orientandosi a sostenere il NO al prossimo referendum sulla riforma costituzionale voluta da Renzi (peraltro non ancora approvata in seconda lettura). La Albertini si chiede se forze politiche trentine che sostengono Renzi siano veramente ispirate al popolarismo. Il medesimo interrogativo a livello nazionale si può porre per “Area Popolare”, il gruppo parlamentare che unisce UDC (quel che resta) e NCD e che sostiene Renzi. Qualcuno si accontenta del fatto che Renzi, da giovane, è stato un popolare, ma le posizioni in tema di democrazia partecipata che egli ha espresso ed esprime (da ultimo sulle elezioni spagnole) fanno dire che semmai il valore della democrazia partecipata è espresso più dalla vera sinistra, non a caso a lui in opposizione.

Il terreno primo di incontro tra movimenti civici e movimenti ispirati al popolarismo di Sturzo e Degasperi, a livello locale e nazionale, è quindi, a mio avviso, quello della concezione della democrazia. Senza democrazia partecipata non c’è popolarismo e non c’è civismo. C’è tecnocrazia o elitismo vestiti da parvenze democratiche, che del resto non sono per lo più mancate neanche nei regimi più autoritari. Come si ricava dalle ricerche europee sui valori (EVS) è il culto dell’efficacia, della rapidità decisionale, della competenza tecnica il tarlo che sta corrompendo le democrazie oggi: popolarismo e civismo sono chiamati ad essere l’antitarlo.

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