Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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religione

Il T : il sacro è retorica. O invece lo è il secolarismo?

di il 23 Settembre 2024 in religione con Nessun commento

Il T pubblica il 14 settembre un editoriale di un ricercatore della Fondazione Kessler, Claudio Ferlan, storico del cristianesimo, intitolato “La retorica del sacro”. Partendo da episodi di (probabile, aggiungo io) strumentalizzazione da parte di politici di fede e simboli cristiani giunge a negare legittimo e razionale fondamento a qualsiasi legame tra credenza religiosa e scelta politica. Si tratta di “retorica” del secolarismo condita di sarcasmo. “Dio e gli dei non hanno nulla a che spartire” con le scelte politiche afferma il dott. Ferlan. Sono riandato alla mia formazione nell’Azione Cattolica prima del Conciio Vaticano II, durante e dopo. In nessuno documento conciliare, in nessun pronunciamento del magistero ecclesiale, in nessun corso di formazione di cristiani laici è stato assunto che non vi sia un rapporto tra fede cristiana e scelte politiche. La vocazione alla “consecratio mundi” era presentata come propria del laico cristiano. Il Vaticano II ha insistito sull’impegno del cristiano nelle realtà temporali, come anche il magistero dei papi da Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI a Giovani Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Il rapporto tra fede cristiana e scelte politiche non è meccanico, si deve avvalere dellla riflessione razionale anche sulla base dell’esperienza storica e certo non si può ridurre a ostentazione di simboli. Il pensiero sociale cristiano e l’esperienza storica che ad esso si ispira devono essere fondamenti ineludibili. Ma le semplificazioni che odorano di strumentalità non possono portare chi non sacralizza il secolarismo a trascurare il fatto che i valori che devono reggere l’umana convivenza e le scelte di bene comune si trasmettono anche con simboli.

Nella mia non breve esperienza parlamentare sono stato membro per una decina d’anni della Commissione Difesa. Simboli e riti sono pane quotidiano di chi opera in ambito Difesa e Polizia. Sacralizzazione dello Stato, della Nazione sono nutrimento quotidiano dell’impegno di uomini, donne e strutture. E’ solo retorica? Lo si dica al Presidente dela Repubblica, si chiami con tutti i nomi,da Einaudi a Mattarella. E perché dovrebbe esserlo per l’uso di simboli cristiani da parte di politici cristiani, anche se pubblici peccatori? Se fosse solo retorica, secondo il ricercatore della Fondazione Kessler si dovrebbero criticare i crocefissi nelle aule pubbliche e i presepi nelle scuole materne, o ancora le feste religiose dal calendario delle festività pubbliche. Scelte di sacralizzazione del secolarismo. Penso al politico cui è intitolata la Fondazione nella quale il dott. Ferlan lavora. Non credo che sarebbe in sintonia.

Giusto criticare i politici pubblici peccatori che ostentano simboli cristiani, ma al fine di richiamarli a coerenza e indurre pentimento dei loro peccati, non di celebrare una politica secolarista. E non a caso di ritorno dal suo ultimo viaggio apostolico in Asia e Oceania Francesco ha indirettamente rimproverato non solo Trump, come fa il dott. Ferlan, ma anche la Harris, entrambi peccatori “politici” contro il V Comandamento. Da un principio religioso Francesco ha tratto un orientamento politico. Retorica?

Inviato a il T e dopo molti giorni non pubblicato

Omicidi in famiglia: bastano le deprecazioni e le manifestazioni?

di il 26 Gennaio 2024 in famiglia, religione con Nessun commento



L’episodio di uccisione e suicidio della coppia Palmieri Moser nelle valli di Cembra e di Fiemme sta interrogando tanti sul come arginare il fenomeno. La ricetta più indicata è quella di sensibilizzare opinione pubblica e agenzie educative al valore del rispetto dell’autonomia reciproca di membri della coppia. Serve insegnare, specie ai maschi, che il partner di una relazione ha tutto il diritto di rifiutare o interrompere o cessare la relazione, indipendentemente dalle conseguenze che ciò può avere su eventuali figli. Ci si può chiedere se non sia rilevante anche il grado di accettazione delle difficoltà di relazione tra i membri della coppia. Nei racconti di come andavano le relazioni un tempo, non era infrequente sentir dire che tra due genitori i rapporti non erano molto positivi, ma che stavano insieme sopportando, soprattutto per amore dei figli. Ma si può andare ancora più in là: occorre che vi sia una adeguata preparazione al matrimonio, o comunque ad iniziare una stabile convivenza. Da giovane sposo ero talvolta chiamato a intervenire nei corsi che la Chiesa Cattolica organizzava (e ancora organizza) in preparazione del matrimonio. Citavo spesso quanto in un volume di Fulton Sheen, arcivescovo di New York, aveva scritto, dal titolo “In tre per sposarsi” e che mi era apparso utile e convincente. Il “terzo” del matrimonio era Dio, il rapporto con il quale consentiva alla coppia di maturare un amore vero e stabile. Il rapporto doveva superare la fase dell’innamoramento, che non dura molto, per arrivare a quella dell’amore-carità, vale a dire di una scelta non più solo emotiva ma anche razionale di voler bene all’altro anche dopo che se ne sono scoperti i difetti, cosa normale nell’evoluzione di un rapporto di coppia. Il “Terzo” è Colui che dà la forza della stabilità della capacità e della decisione di amare nonostante difetti e disillusioni. E senza conoscere il libro di Fulton Sheen, questo è quanto vivevano le coppie. Nei corsi cui contribuivo si insegnava anche che la maturazione dalla fase dell’innamoramento a quella dell’amore, che doveva avvenire prima di sposarsi, era facilitata se nel periodo dell’innamoramento si rinunciava al rapporto sessuale, le cui dinamiche emotive e relazionali ostacolavano altre dimensioni del dialogo di coppia, relative ai valori da condividere e alla capacità di controllare gli istinti. Da quando ero giovane fidanzato e sposo il clima culturale è assai cambiato, anche per effetto dei mezzi di comunicazione di massa e ora elettronici. Ciò che conta è l’innamoramento: solo su di esso possono iniziare i rapporti sessuali prematrimoniali, può iniziare la convivenza e addirittura concepire figli e,di fronte a difficoltà, non si valorizza più l’amare l’altro nonostante i suoi difetti, non si tiene nel conto il bene dei figli eventuali, si deve ricorrere alla separazione e, se sposati, anche al divorzio. Il partner (per lo più il maschio) deve accettare la privazione, il rifiuto di continuare la relazione, poco importa se va in crisi esistenziale. Se la relazione fosse maturata in amore, con il sostegno per i credenti del “Terzo”, sarebbe più facile mettere nel bilancio anche l’altro.

In una società nella quale la cultura dominante rende il piacere criterio regolativo, nella quale la stabilità della convivenza conta assai poco privilegiando provvisorietà, assenza di impegno ufficiale neppure di impronta solo laica, si può certo cercare di arginare le esplosioni di violenza, ma sfilate e articoli sui giornali e interventi nei dibattiti televisivi sono poco per far superare il senso di deprivazione che scaturisce da un abbandono. Meglio poco che niente, sono qualcosa di più di ciò che in trentino si chiama “peti par la toss”, ma i fondamenti del rispetto assoluto per l’altro sono altri.

INVIATO A L’ADIGE E NON PUBBLICATO; PUBBLICATO DA IL T

L’Adige e il suo vaticanista

di il 26 Gennaio 2024 in famiglia, religione con Nessun commento

 

morale sessuale cristiana: sparite le certezze?

di il 16 Ottobre 2023 in famiglia, religione con Nessun commento
Egregio Direttore,

leggo sempre con interesse le pagine di “Noi in famiglia”: rappresentano una guida e una conferma ragionata di principi. Mi ha invece sorpreso quanto pubblicato nell’ultimo numero di domenica scorsa 8 ottobre, in particolare l’articolo sulla “svolta irreversibile del Papa” e l’articolo che valorizza le posizioni “gender” e Lgbtq. La chiave: l’assunzione del principio regolativo del discernimento per il giudizio morale sui comportamenti umani. Una volta si insegnava che la coscienza per essere assunta a giudice morale di condotte deve essere “retta”, vale a dire conforme a verità e ciascuno ha il dovere di formarsi una coscienza retta. Il discernimento frutto della coscienza trova un limite nel legittimare condotte in norme oggettivamente fondate e stabili, ossia irreversibili? Può la coscienza legittimare moralmente condotte quali l’aborto volontario, il divorzio, l’utero in affitto, l’infedeltà coniugale, relazioni sessuali extramatrimoniali, rapporti sessuali con persone dllo stesso sesso e altri comportamenti oggettivamente contrastanti con la morale sessuale “oggettiva”, come tale insegnata anche ufficialmente da sempre dalla Chiesa? Capisco l’ambizione di teologi moralisti di dimostrarsi “moderni” e comprensivi, capisco anche che un Papa si preoccupi di presentare una Chiesa accogliente, ma l’accoglienza del peccatore non può lasciare al giudizio di moralità a una valutazione soggettiva. Non ogni pulsione verso condotte richiede comprensione, ma può richiedere anche l’impegno al suo controllo, non dimenticando che dopo il peccato di Adamo l’uomo è inclinato al male e tale inclinazione va combattuta con energia, magari, anche se non è più di moda, con l’aiuto dei sacramenti, della preghiera, del sostegno della comunità cristiana.

Lettera inviata ad Avvenire e non pubblicata fino ad oggi

Bruni su Avvenire: la Riforma di Lutero meglio della Riforma cattolica

di il 29 Aprile 2023 in religione con 2 Commenti

Egregio Direttore,

nella terza pagina di Avvenire del 23 aprile un lungo articolo di Luigino Bruni mi ha lasciato sconcertato: la Controriforma cattolica per Bruni aveva ed ha torto mentre la Riforma protestante e Lutero aveva ed ha ragione. Sacrificio e merito sono categorie appropriate a “idoli” e la Chiesa cattolica che le ha proposte ha sbagliato in modo evidente. La stessa domenica del 23 aprile il Vangelo della Messa raccontava come Gesù di Nazareth spiegava ai discepoli di Emmaus, sconcertati per la brutta fine da lui fatta, come fosse necessario che egli venisse sacrificato, in adempimento alla Scrittura. Evidentemente l’evangelista Luca, stando a Bruni, ha falsificato le parole di Gesù. Per Bruni sbagliato pensare alla Messa come sacrificio, come sbagliato il culto dei santi e sbagliato valorizzare il sacrificio. Ingannate le mamme che si sono sacrificate per la famiglia: penso a mia madre che ha avuto undici figli e a mia moglie che ne ha avuti nove e a mia suocera che ne ha avuto sette. Ingannati i bambini che erano invitati da sacerdoti, suore e catechiste a disciplinare i loro desideri anche rinunciandovi. Guai pensare a meriti e demeriti. Il sig. Bruni è ovviamente libero di pensarla come crede, di essere estimatore più di Lutero, in materia, che del magistero conciliare cattolico. Ciò che mi chiedo è che abbia a che fare Avvenire con queste valutazioni. Già c’è disagio per alcune posizioni assunte dal giornale, che pur rientrano nella libertà di opinione anche in un quotidiano definito “dei vescovi italiani”. Se adesso si mette a fare da megafono alle tesi di Lutero e alle sue condanne della Chiesa cattolica mi chiedo cosa abbiano a che fare con Avvenire i laici cattolici italiani.

INVIATO AL DIRETTORE DI AVVENIRE E NON PUBBLICATO

Cattolici e scelte politiche negli USA; osservazioni a Tonini e Dellai

di il 11 Gennaio 2021 in elezioni, partiti politici, religione con 2 Commenti
Su due giornali editi in Trentino, domenica 10 gennaio due articoli di due politici di sinistra che si considerano cattolici, Giorgio Tonini e Lorenzo Dellai. L’oggetto: la situazione politica statunitense, prendendo spunto dalle vicende legate all’esito delle elezioni presidenziali. Tonini è soddisfatto perché su tre vertici istituzionali negli USA ben due sono di religione cattolica e per la rilevante presenza di deputati e di senatori cattolici, accentuata nel partito democratico. Dellai giudica insufficiente la presa di distanza della destra in Italia dal metodo violento usato nel violare il Campidoglio da parte di dimostranti filo-trumpiani e se la prende con l’ex nunzio della santa Sede negli USA Viganò per una lettera che avrebbe scritto a favore del voto per Trump. Mi permetto alcune osservazioni.

A Tonini vorrei dire che l’essere di religione cattolica non garantisce la fedeltà ai principi del cattolicesimo. Lo hanno dimostrato proprio i due vertici “cattolici” Biden e Pelosi, che sui temi cruciali della tutela della vita umana dal concepimento alla morte naturale e della tutela della famiglia fondata sul matrimonio di uomo e donna, due dei principi “non negoziabili” per un cattolico, hanno assunto con evidenza posizioni opposte, proprio in netto contrasto con quanto sostenuto da ultimo anche da Papa Bergoglio, che continua a richiamare l’inumanità della “cultura dello scarto” che legittima ad es. l’uccisione nel grembo materno di chi non è desiderato per qualche ragione, fosse anche la sola sua salute. Ricordo, nella mia esperienza nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa come su questi principi fondamentali si trovassero convergenze con cristiani protestanti, ortodossi, mussulmani assai più che con cattolici che tali erano solo per aver ricevuto da bambini il battesimo. Guardiamo alle scelte di valore più che ai registri demografici, che risentono di andamenti demografici che stanno modificando la composizione etnica degli Stati Uniti!

A Dellai vorrei dire che la pretesa che la condanna dell’uso della violenza nella vicenda dell’intrusione di manifestanti nel Campidoglio di Washington (non si può contrabbandare per tentativo di insurrezione o di colpo di stato, tant’è vero che i lavori del parlamento sono ripresi in giornata) non sia credibile se non si prendono le distanze dalle posizioni politiche sostenute da Trump, sa tanto di autoritarismo. Si possono condannare determinati comportamenti senza condannare in toto le convinzioni politiche professate da chi in modo improvvido ha incentivato le intrusioni. Su temi come la tutela della vita, ad es., Trump ha assunto posizioni consonanti con quelle sostenute dalla morale cristiana e mi pare che non si tratti di un tema secondario, univocamente trattato dal magistero della Chiesa. Non è un caso che i movimenti “pro-life” si siano pronunciati per il voto a Trump. La violazione dei valori e delle regole democratiche possono avvenire in molti modi. Il sistema elettorale nei diversi stati degli USA si presta a brogli, specie in relazione all’uso estensivo e decisivo del voto per corrispondenza, che non garantisce che il voto sia personale e segreto. Trump e il suo staff non hanno fornito prove, ma di tali violazioni era impossibile esibire prove. Ho assistito da osservatore del Consiglio d’Europa a molte votazioni in molti paesi ed ho visto molti brogli pur essendo la procedura di voto quella tradizionale ai seggi. In un’America dove i “poteri forti”, compresi i media, erano tutti pro democratici, è ancora più difficile che a sospetti di brogli venga data attenzione. Con il voto per corrispondenza la garanzia di voto personale e segreto può vanificarsi, senza che vi siano prove. Mi pare quindi possibile che almeno una parte della protesta abbia fondamento e in quel caso le valutazioni dovrebbero essere più prudenti.

La tradizione politica dei democratici cristiani è altra, rispetto a populismo e sovranismo espressi da Trump, ma di questa tradizione fa parte anche la prudenza nel giudicare, evitando strumentalizzazioni e falsificazioni.

Teologi e fede: serve una laurea statale in teologia?

sul Trentino del 7 gennaio è pubblicato un articolo di Maurizio Gentilini sul ritorno della teologia nell’università italiana grazie all’istituzione di un corso di laurea a Palermo in “Religioni e culture”, per il quale è stata stabilita una collaborazione con la Facoltà teologica di Sicilia. Il Gentilini coglie l’occasione per ripercorrere una vicenda trentina che mi pare aver avuto nei desideri di qualcuno, allora, una portata maggiore, non limitata a una collaborazione tra istituzioni statali ed ecclesiastiche, come è quella palermitana. Questa, tra l’altro, non conferisce una laurea in teologia, ma in “religioni e culture”, ossia in materia culturale nella quale rientrano anche le religioni. La cultura rientra in campi di studio nelle università statali già da tempo, oggetto di insegnamento, come nei corsi di “sociologia della religione” o “sociologia delle religioni” e di “sociologia dei fenomeni culturali” che a Trento hanno annoverato e annoverano studiosi di rilievo come lo scomparso Sabino Samele Acquaviva e, a Lettere, Salvatore Abbruzzese.

Ricordo che quando fu presentata a Trento l’eventualità di istituire una laurea in teologia presso l’Università di Trento in collaborazione con l’Istituto di Scienze Religiose, da professore dell’Università, anche con qualche responsabilità istituzionale, espressi un parere negativo. Alla radice stanno le medesime valutazioni che poi hanno portato la diocesi di Trento a costituire una sua propria scuola teologica, anche per la preparazione degli insegnanti di religione, togliendo tale compito all’Istituto di Scienze Religiose dell’Istituto Trentino di Cultura (ora Fondazione Kessler), ente laico provinciale. La questione cui rispondere è in fondo la seguente: la teologia cristiana è e
deve essere una disciplina “ancillare” alla fede o è una disciplina che può essere coltivata e insegnata indipendentemente dalla fede, anche da atei o da fedeli di altra religione? Forse per qualcuno la cosa più importante è l’autonomia epistemologica di una disciplina, che ha i suoi canoni che ben poco avrebbero a che fare con la fede. Non so se Gentilini sia su questa posizione. Per chi ha responsabilità di guida di una comunità cristiana (ma il ragionamento si applica anche ad altre religioni, come ad es. l’ebraica o la mussulmana) una teologia atea, agnostica, slegata da una fede, rischia di sviare la comunità dalla vera fede. Il problema diventa ancora più evidente se tra gli sbocchi professionali di un laureato in tale teologia vi fosse pure l’insegnamento di una religione, come quello di religione cattolica previsto in Italia dal Concordato. Vi è stato un acceso dibattito sul fatto che gli insegnanti di religione cattolica debbano ottenere il gradimento del vescovo della diocesi dove dovrebbero insegnare e ancora v’è chi avversa tale soluzione. Non basta certo l’aver ottenuto una laurea in teologia da un’università statale, sia pure con la collaborazione di una facoltà teologica ecclesiastica, per dare la garanzia che un docente di religione cattolica insegni religione cattolica e non altro, sia pure nei soli suoi aspetti di cultura, peraltro tutt’altro che secondari. Per questo mi pare semplicistico o eccessivamente accondiscendente alle tendenze secolarizzatrici, orientare positivamente l’opinione pubblica cristiana all’istituzione di una laurea statale in teologia, disciplina che dovrebbe sganciarsi dalla fede e dalla comunità religiosa che la professa.

Inviato a il Trentino e finora non pubblicato

Mercanti nel tempio? Dubbi in merito a un articolo sugli interessi per prestiti di Bruni su Avvenire

Avvenire di domenica 27 dicembre pubblica un lungo articolo di Luigino Bruni intitolato “Quando e perché i mercanti poterono occupare il tempio”. Il tema affrontato è di interesse non solo per gli storici, ma anche per l’etica economica e sociale contemporanea. Il titolo allude alla cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù, a Gerusalemme e propone la tesi di fondo, ossia il cedimento della Chiesa agli interessi dei mercanti e dei banchieri al tempo della Signoria Medici a Firenze e anche successivamente con riferimento al culto dei Re Magi. Mi ha colpito il contrasto tra le analisi del Bruni in quest’ultimo contributo e le lezioni che, studente di Sociologia a Trento nel 1965-66, frequentavo del prof. Gino Barbieri, eminente professore di Storia economica, (Legnago, VR, 1913-1989), formatosi alla Cattolica di Milano, allievo di Amintore Fanfani.

Il dibattito sull’ammissibilità della riscossione di interessi per i prestiti fu un tema assai dibattuto, confrontandosi le tesi intransigenti che richiamavano comandi della Bibbia del prestare senza esigere interessi e quanto si veniva imponendo nella nuova economia capitalista del prestito con interessi, stabilendo che di usura si poteva parlare solo se il tasso di interesse diventava assai elevato (fissato negli Statuti cittadini). Fu Martino Tomitano nato a Feltre, laureato con lode a Padova e divenuto poi frate minore assumendo il nome di Bernardino (da Feltre, riconosciuto beato dalla Chiesa) che approfondì in modo rilevante e con riflessi operativi l’etica sulla questione, distinguendo il prestito alla povera gente per poter vivere dal prestito come parte del capitale per poter produrre, commerciare e creare ricchezza. Come ricordato in altre parti dei contributi di Bruni pubblicati da Avvenire, il divieto di richiedere interessi valeva per Bernardino da Feltre per per il primo tipo di prestito, non per il secondo. E per i prestiti del primo tipo fondò i Monti di Pietà (il primo a Perugia, nel 1462), nei quali i prestiti ai poveri erano senza interessi.

Per Barbieri si trattò di un avanzamento di riflessione etica da parte del cristianesimo che lo fece uscire dalle secche di un integralismo letterale che applicava una norma motivata per certe situazioni a situazioni nuove, diverse, determinate dall’affermarsi del capitalismo. Non si tratta, quindi, di un cedimento etico, come lascia intendere Bruni in quest’ultimo contributo, ma di un progresso etico. L’usura è certamente rimasta un peccato, ma le condizioni affinché si possa parlare di usura sono state riviste. Semplificare il tutto parlando di mercanti che occupano il tempio, di cedimento della Chiesa che contraddice principi fondamentali, mi sembra tra l’altro non coerente con l’apprezzamento che, in precedenti contributi, Bruni esprime per il “realismo” dimostrato dai francescani, della loro capacità di “discernimento” (a differenza di altri) rispetto alle dinamiche economiche e sociali del loro tempo.

Chiesa-comunità è Chiesa strutturata

di il 5 Dicembre 2020 in burocrazia, comunità, religione con Nessun commento

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sul Trentino del 14 novembre Danilo Fenner, commentatore di questioni religiose del giornale, critica l’eccessiva burocratizzazione della Chiesa cattolica e vede in ciò una delle ragioni di conflitto tra la realtà e quanto invece vorrebbe Papa Bergoglio, una Chiesa-comunità. più “sinodale”. E fa un lungo elenco “una pletora” scrive, di organismi interni della stessa Chiesa locale, della diocesi, che, tra l’altro vedono un ruolo marginale delle donne e l’onnipresenza del clero. Rilevo che dall’elenco manca stranamente un altro organismo diocesano, la “Consulta dei laici”, che raccoglie esponenti di associazioni e movimenti cattolici, dove Presidente eletta è da più mandati una donna e dove le donne sono numerose.

Leggendo l’articolo sono riandato col pensiero alla mia gioventù, nel periodo del Concilio Vaticano II e degli anni immediatamente successivi, quando la costituzione di organismi di partecipazione era visto, alla luce dei documenti conciliari, come un fatto positivo, innovativo, rispetto alla situazione precedente nella quale la gestione delle decisioni attinenti alla Chiesa, anche locale, erano di competenza esclusiva delle autorità ecclesiastiche (parroco, vescovo). Come mai tali organi di partecipazione sono giudicati da Danilo Fenner come “burocrazia”, che contrasterebbe la “sinodalità” che vorrebbe, invece, Papa Francesco? Pure il Sinodo, peraltro, è un organismo di partecipazione, in versione certo più “assembleare”, ma disciplinato da regole e da rappresentanze anche a livello diocesano, come l’ultimo tenuto nella diocesi trentina per volere del vescovo mons. Gottardi. C’è un altro aspetto della gestione ecclesiale che viene spesso criticata, il procedere per pianificazioni. Ricordo quando si criticava la gestione “episodica” di iniziative e, sulla scorta di quanto accadeva anche in campo civile, con l’affermarsi della pianificazione o programmazione (economica, sociale, urbanistica, ecc.) anche nella gestione ecclesiale e associativa si procedeva per piani (e ancora si procede) e la loro formulazione e valutazione era compito degli organi di partecipazione, ciascuno con le sue specifiche competenze. Anche a questo riguardo c’è chi rinviene in tale pianificazione non il tentativo di dare razionalità all’azione, ma un sovrabbondare di burocrazia. Meglio l’improvvisazione che nasce dall’ispirazione dello “Spirito Santo”, che soffia dove vuole e non si lascia disciplinare dalla razionalità umana.

Danilo Fenner (ma non è solo, con lui egli vede anche il Papa attuale) vorrebbe altri modelli di gestione, ispirati a una Chiesa-comunità, “non burocratica, non dottrinaria, non strutturata…. dove a decidere non sono i preti”. Risento l’eco di uno spirito “sessantottino”, che aveva destrutturato la formazione universitaria e voleva destrutturare i partiti e i sindacati, sostituendoli con “movimenti” e comitati condotti da leader, voleva destrutturare la famiglia (ricordo le “comuni” anche a Trento), e così via. Non mi pare che l’esperienza abbia dimostrato che simili modelli gestionali abbiano portato grandi risultati. E in ogni caso un periodo “movimentista” termina con l’estinzione dell’effervescenza e/o con la strutturazione, che vede regole, apparati amministrativi, “dottrine” di riferimento. Anche la “comunità” vive strutturata, come dimostra la storia delle comunità locali. La “rivoluzione permanente” non è mai durata a lungo, né nella Cina maoista nè nella Cuba castrista. Il problema da cui originano i sentimenti espressi da Danilo Fenner non sta né negli organismi di partecipazione né nella programmazione delle attività, ma nella debolezza della fede, dell’esperienza ecclesiale, nella secolarizzazione del nostro modo di vivere, che lascia uno spazio sempre più esiguo alla forza e alla portata della risposta religiosa alle questioni di senso della vita nostra e del mondo. Sempre meno persone che scelgono il sacerdozio o la vita consacrata. Sempre meno forte è il senso di appartenenza ecclesiale. Cresce la religione “self service”, “à la carte”. Desiderare una Chiesa destrutturata, perfino anche nella dottrina, è espressione di ciò.

Inviato a il Trentino e finorta non pubblicato

A quando lo sblocco della causa di beatificazione di Alcide Degasperi da parte del vescovo di Trento?

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ome ormai da molti anni, il Centro Studi su Alcide Degasperi di Borgo Valsugana, presieduto in questi anni dall’on. Aldo Degaudenz, ha organizzato a Borgo la Santa Messa in suffragio di Alcide Degasperi proprio nell’anniversario (66 anni) della morte, il 19 agosto. Di solito prima della Messa organizzava un’iniziativa culturale su Degasperi “uomo e cristiano”. Prima ancora erano parlamentari del CDU, Buttiglione e parlamentari CDU in Trentino, con la partecipazione dell’on. Ebner, eurodeputato del PPE, a organizzare nell’occasione un incontro politico sulle prospettive di impegno politico ispirato al pensiero sociale cristiano, richiamando la figura di Degasperi. Causa Covid 19 quest’anno il Centro ha rinunciato all’incontro culturale. Tuttavia la celebrazione della Messa da parte dell’arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi non ha mancato di esprimere con forza le qualità umane e cristiane di Alcide Degasperi, quest’anno valendosi, accentuando qualche tono, anche della bellissima “lectio magistralis” tenuta, per iniziativa della Fondazione Trentina Alcide Degasperi, il giorno 18 a Pieve Tesino da parte della Presidente della Corte Costituzionale prof. Marta Cartabia.

Un tempo erano il fratello dell’arcivescovo Sartori, postulatore della causa di beatificazione, e mons. Costa, di Borgo, a tenere l’omelia, illustrando soprattutto le doti cristiane di Alcide Degasperi. Poi fu direttamente mons. Bressan, arcivescovo, a farlo, pur con toni meno forti. Da buon diplomatico sapeva, infatti, che non poteva entrare in contraddizione con il fermo che la causa di beatificazione di Degasperi aveva subito proprio da parte sua, ordinario della diocesi, di fronte alle riserve e contrarietà espresse dalle autorità ecclesiali della diocesi di Bolzano-Bressanone per motivi esclusivamente “politici” (le decisioni del patto Degasperi- Gruber avrebbero sacrificato, con inganno (?), l’autonomia sudtirolese, inserendola nel “quadro regionale” che comprendeva anche il Trentino).

Tutt’altro il taglio delle omelie di mons. Tisi, fin dall’inizio del suo magistero episcopale. Gli accenti volti a evidenziare le virtù eccezionali di Alcide Degasperi, innanzitutto come cristiano e poi come uomo e come politico, sono stati sempre forti. Nell’omelia ultima, alla domanda lasciata aperta dalla prof. Marta Cartabia sull’origine in Degasperi della sua eccezionale capacità umana e politica di portare in porto la Costituzione e di governare “dal centro”, inteso come capacità di fare sintesi delle varie posizioni, mons. Tisi, come penso molti dei democratici cristiani presenti a Pieve e a Borgo per la Messa, dà la risposta: le virtù umane e politiche di Degasperi venivano dal suo vivere il Vangelo di Gesù Cristo, pur con il contributo di altri elementi umani, richiamati nella “lectio” come il suo essere “uomo di confine”.

Non è la prima volta che, di fronte a una posizione forte di mons. Tisi, gli venga posta la domanda del perché, di fronte alle eccezionali virtù umane e cristiane di Alcide Degasperi, non provveda a sbloccare la causa di beatificazione nella sua fase preliminare diocesana. Il 19 scorso il contrasto fra ciò che viene detto e ciò viene fatto sulla causa di beatificazione era così evidente che per un attimo mi è venuta la tentazione di imitare Paolo Sorbi (che aveva tutt’altre motivazioni), gridandolo in chiesa. Ma dopo la messa, sul sagrato della chiesa, non ero l’unico a rilevare la contraddizione. Possibile che motivi etnico-politici, tra l’altro presenti in un’altra diocesi, si sacrifichi la segnalazione alla comunità cristiana, almeno per la fase preliminare diocesana, delle straordinarie virtù umane e cristiane di un uomo politico, certamente di rilievo nazionale ed europeo? La comunità cristiana, anche diocesana, è frantumata politicamente. E non solo per differenze di valutazione sui problemi, ma anche sul senso stesso dell’impegno politico. Dei documenti al riguardo del Concilio Vaticano II nessuno più parla. Basta celebrare Degasperi nelle omelie una volta l’anno? Spero che mons. Tisi ripensi la sua scelta e faccia proseguire il cammino delle procedure canoniche previste. La DC nazionale ha deciso di sostenere tale cammino.

Pubblicato dal Trentino

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