Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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I silenzi dell’editoriale abortista del quotidiano T

di il 9 Maggio 2024 in etica pubblica, famiglia, sanità con 1 Commento

Egregio Direttore dott. Casalini, 
il numero del 3 maggio del giornale da Lei diretto affida l’editoriale a una professoressa associata di scienza politica, Alessia Donà, che considera diritto della donna incinta abortire e si esprime negativamente sulla possibilità che nei consultori familiari vi sia una presenza associativa motivata a rimuovere gli ostacoli che una donna può incontrare nel portare a termine la sua gravidanza. Da trentino che ha subito apprezzato la presenza in Trentino di un quotidiano autonomo espressione di forze sociali ed economiche locali mi chiedo se vi sarà occasione di leggere un editoriale che non dimentichi in tema di tutela della vita umana quanto la professoressa Donà tace e che non tratti da reazionario, come viene fatto per la ministra Eugenia Rocella, chi ricorda che la legge 194 è intitolata in primis come tutela della maternità e consente l’aborto solo a certe condizioni. Se fosse un diritto delle donne disporre della vita e della morte del bambino o bambina che portano in grembo, non avrebbe senso sottoporre l’autorizzazione ad abortire a procedure complesse e se proprio si vuole insistere a chiamarlo “diritto”, si dovrebbe onestamente aggiungere che è un diritto condizionato. Si dovrebbe anche aggiungere che se un medico o un’infermiera possono rifiutarsi di metterlo in pratica perché ciò violerebbe la loro coscienza, vuol dire che se anche lo si vuole chiamarlo diritto, non è certo un diritto che la coscienza di molti considera tale, ma considera uccisione di un essere umano. Se i favorevoli a chiamare “diritto” tale uccisione sono ostili a presenze di associazioni di sostegno alla maternità, pur previste anche dalla legge 194, perché susciterebbero nella donna che decide di abortire “sensi di colpa”, ciò significa che è un diritto del cui esercizio si potrebbe anche vergognarsi, essendo chiara la sua natura di soppressione di un essere umano in formazione. Non è facile convincersi che è solo gestione del proprio corpo, come anche l’editorialista sostiene, mai mettendosi dalla parte di chi viene soppresso. Costa così tanto riconoscere la verità? Mi permetterei di suggerire alla prof. Donà di leggere i risultati delle ricerche di Donatella Cavanna, anche lei già docente di psicologia a Trento e poi pofessoressa ordinaria all’Università di Genova. La coscienza della donna si ribella anche non volendo all’esperienza di abortire. Abortire viola l’essre profondo di chi abortisce. Perché tacerne? Si fa proprio un servizio ai diritti delle donne o si mascherano ferite difficili e lunghe da sanare?

Finora non pubblicata,

Degrado della democrazia



l’Adige del 1°maggio pubblica un articolo di Paolo Pombeni che denuncia quelli che lui definisce “errori” dei leader politici nel fare le liste per le elezioni europee. Ne condivido l’analisi e accentuerei considerazioni critiche di merito, che vanno oltre l’opportunità. Per chi, come me e altri, è impegnato a riattivare il partito della Democrazia Cristiana come strumento per continuare n Italia una presenza politica di ispirazione cristiana, vedo accresciute le distanze delle forse politiche dal pensiero sociale cristiano. uno dei fondamenti della nostra Costituzione e dei suoi valori. Trent’anni fa era stata netta la distanza verso la riduzione della riflessione politica al marketing elettorale per piazzare un candidato e la sua lista. Ricordo le critiche verso la “discesa in campo” di Berlusconi e la sua lista di Forza Italia espressione di un’azienda di pubblicità e televisiva. Ora i leader della destra, del centro e della sinistra PD ripetono il modello allora criticato di Berlusconi. Nel 1994 fui candidato del PPI che con Martinazzoli aveva posto distanze con l’impostazione berlusconiana. Ora anche il centro laico post-azionista e quello che unisce “renziani e radicali” ha ceduto alla medesima impostazione, ripetuta da Forza Italia post-berlusconiana, nonostante l’ambizione di questa di rappresentare in Italia il popolarismo, salvo negare collaborazione con la riattivata Democrazia Cristiana, il partito di Sturzo e di Degasperi, fondatori in Italia del popolarismo e della Democrazia Cristiana. Nel nostro collegio abbiamo l’opportunità di votate SVP, espressione autentica di popolarismo autonomista, ma altrove FI ha chiuso le porte.

Le prossime elezioni europee vedono anche un ulteriore degrado del comportamento politico, la presentazione di candidati che lo fanno senza alcuna intenzione di scegliere, se eletti, di rappresentare l’Italia nel Parlamento Europeo. Romano Prodi è stato il primo leader a denunciare simile pratica truffaldina; qualcuno si è aggiunto, ma il silenzio dei mass media e della politica, come dell’élite culturale, sindacale ed economica, salvo eccezioni, è impressionante. Non solo si tace sulla prassi delle candidature multiple che dà in mano al plurieletto la possibilità di decidere chi sarà poi eletto nei collegi, ma anche sulle candidature fasulle, corrompendo il principio che le elezioni parlamentari sono fondamento della democrazia, non il fac-simile di un sondaggio d’opinione.

E arrivo a un terzo sintomo di degrado, la riforma costituzionale che il centro-destra ha proposto in Parlamento. Tutto il potere che conta a una sola persona che ricopre il ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri. Si aggiunge il favore alla riforma anche da parte di Renzi, che vorrebbe riprodurre il modello del “sindaco” per l’intera Italia. La democrazia è ridotta all’elezione di un capo ogni cinque anni. Siamo lontani anni luce dall’impostazione ispirata al pensiero sociale cristiano (ma anche liberale e di sinistra non estrema) secondo il quale la democrazia si esercita sempre, come partecipazione alle decisioni e come controllo, non solo con elezioni. Non basterà alla destra la vicinanza all’etica cristiana in materia di valori non negoziabili per conquistare il voto di chi si ispira al pensiero sociale cristiano, che ha una concezione assai diversa della democraticità delle istituzioni. Non basta Hobbes, non basta un contratto fatto ogni cinque anni; serve il personalismo di Maritain, servono le analisi di Tocqueville, serve la democrazia partecipata delle encicliche sociali.

La fedeltà ai valori si testimonia, del resto, anche nella vita personale e i passi verso il degrado della politica confermano il degrado verso i disvalori testimoniati dalla propria vita privata.


INVIATO a l’ADIGE il 1° maggio e finora non pubblicato

Studenti stressati: come mai?

di il 29 Marzo 2024 in cultura, scuola, università con Nessun commento

il T quotidiano del 27 marzo dedica ampio spazio alle valutazioni sulla circolare che l’assessora provinciale all’istruzione, Francesca Gerosa, ha inviato alle scuole consigliando i professori a non dare compiti a casa per le vacanze pasquali. Alcuni giorni fa veniva presentato il risultato di un’indagine sulla quota di studenti che soffre di stress, una quota straodinariamente elevata. Il rappresentante degli studenti valorizza la preoccupazione di chi guida la scuola per il loro “benessere”. Giusto difendere l’autonomia scolastica, che non è solo in capo ai docenti, ma a tutte le componenti della scuola, ma altrettanto giusto che chi ha responsabilità politico-amministrative sulla scuola formuli osservazioni e stimoli riflessioni, senza peraltro la pretesa di avere poteri di comando. Ma non è per questo che disturbo, ma per esprimere uno stato d’animo rispetto alla dichiarata fragilità psichica degli studenti nell’affrontare il futuro. Come mai la scuola è vissuta con stress? Quando ero giovane studente la scuola era la strada per realizzare la propria crescita culturale e professionale. Non a molti era concesso di percorrere questa strada fino ai più alti livelli di istruzione. La Costituzione lo garantisce anche a chi era privo di risorse ma era bravo. Essere bravi a scuola era un obiettivo. Ricordo che alle elementari per essere più bravo degli altri non mancava chi, come me, studiava in anticipo le pagine del sussidiario. C’erano momenti di stress (che per me si manifestava con conati di vomito anche senza aver fatto colazione), ma sono stati rari: ricordo l’esame di matematica all’Università, primo anno, dal cui esito dipendenva la possibilità di ottenere il presalario e quindi poter frequentare l’Università. Uno stress simile lo sperimentai quando dovevo decidere se indebitarmi molto per comprare casa o quando a Kampala il gruppo di ricercatori che guidavo venne assaltato da militari in un colpo di stato. Stress forti e superati, ma per tutto il resto della vita, anche da giovani, la vita era vista non come stress, ma come sfida da affrontare, come impegno. Che razza di benessere degli studenti è quello che che riduce gli impegni, gli sforzi, i sacrifici per avere più tempo libero, per poter passeggiare assaporando cose che piacciono? Ricordo che quando ero giovane non potevo fare i compiti per le vacanze perché i miei non avevano i soldi per comperarmi il “libro per le vacanze”, qualche rara volta regalato dal maestro che lo riceveva in omaggio dall’editore. Solo i benestanti potevano permetterselo. Certo ci vuole equilibrio, certo occorre dare spazio anche ad attività educative extrascolastiche; certo serve lasciare tempo anche per attività sportive, certo serve dare spazio per la vita di famiglia, ma ripensiamo sulle ragioni per le quali scolari e studenti vivono in stress, anziché con gioia e speranza il loro tempo.

Inviato al quotidiano T e finora non pubblicato

 

Omicidi in famiglia: bastano le deprecazioni e le manifestazioni?

di il 26 Gennaio 2024 in famiglia, religione con Nessun commento



L’episodio di uccisione e suicidio della coppia Palmieri Moser nelle valli di Cembra e di Fiemme sta interrogando tanti sul come arginare il fenomeno. La ricetta più indicata è quella di sensibilizzare opinione pubblica e agenzie educative al valore del rispetto dell’autonomia reciproca di membri della coppia. Serve insegnare, specie ai maschi, che il partner di una relazione ha tutto il diritto di rifiutare o interrompere o cessare la relazione, indipendentemente dalle conseguenze che ciò può avere su eventuali figli. Ci si può chiedere se non sia rilevante anche il grado di accettazione delle difficoltà di relazione tra i membri della coppia. Nei racconti di come andavano le relazioni un tempo, non era infrequente sentir dire che tra due genitori i rapporti non erano molto positivi, ma che stavano insieme sopportando, soprattutto per amore dei figli. Ma si può andare ancora più in là: occorre che vi sia una adeguata preparazione al matrimonio, o comunque ad iniziare una stabile convivenza. Da giovane sposo ero talvolta chiamato a intervenire nei corsi che la Chiesa Cattolica organizzava (e ancora organizza) in preparazione del matrimonio. Citavo spesso quanto in un volume di Fulton Sheen, arcivescovo di New York, aveva scritto, dal titolo “In tre per sposarsi” e che mi era apparso utile e convincente. Il “terzo” del matrimonio era Dio, il rapporto con il quale consentiva alla coppia di maturare un amore vero e stabile. Il rapporto doveva superare la fase dell’innamoramento, che non dura molto, per arrivare a quella dell’amore-carità, vale a dire di una scelta non più solo emotiva ma anche razionale di voler bene all’altro anche dopo che se ne sono scoperti i difetti, cosa normale nell’evoluzione di un rapporto di coppia. Il “Terzo” è Colui che dà la forza della stabilità della capacità e della decisione di amare nonostante difetti e disillusioni. E senza conoscere il libro di Fulton Sheen, questo è quanto vivevano le coppie. Nei corsi cui contribuivo si insegnava anche che la maturazione dalla fase dell’innamoramento a quella dell’amore, che doveva avvenire prima di sposarsi, era facilitata se nel periodo dell’innamoramento si rinunciava al rapporto sessuale, le cui dinamiche emotive e relazionali ostacolavano altre dimensioni del dialogo di coppia, relative ai valori da condividere e alla capacità di controllare gli istinti. Da quando ero giovane fidanzato e sposo il clima culturale è assai cambiato, anche per effetto dei mezzi di comunicazione di massa e ora elettronici. Ciò che conta è l’innamoramento: solo su di esso possono iniziare i rapporti sessuali prematrimoniali, può iniziare la convivenza e addirittura concepire figli e,di fronte a difficoltà, non si valorizza più l’amare l’altro nonostante i suoi difetti, non si tiene nel conto il bene dei figli eventuali, si deve ricorrere alla separazione e, se sposati, anche al divorzio. Il partner (per lo più il maschio) deve accettare la privazione, il rifiuto di continuare la relazione, poco importa se va in crisi esistenziale. Se la relazione fosse maturata in amore, con il sostegno per i credenti del “Terzo”, sarebbe più facile mettere nel bilancio anche l’altro.

In una società nella quale la cultura dominante rende il piacere criterio regolativo, nella quale la stabilità della convivenza conta assai poco privilegiando provvisorietà, assenza di impegno ufficiale neppure di impronta solo laica, si può certo cercare di arginare le esplosioni di violenza, ma sfilate e articoli sui giornali e interventi nei dibattiti televisivi sono poco per far superare il senso di deprivazione che scaturisce da un abbandono. Meglio poco che niente, sono qualcosa di più di ciò che in trentino si chiama “peti par la toss”, ma i fondamenti del rispetto assoluto per l’altro sono altri.

INVIATO A L’ADIGE E NON PUBBLICATO; PUBBLICATO DA IL T

L’Adige e il suo vaticanista

di il 26 Gennaio 2024 in famiglia, religione con Nessun commento

 

Anche i contestatori perdono memoria: il caso di Marianella Sclavi nei primi anni di Sociologia a Trento

di il 27 Ottobre 2023 in università con 1 Commento





ho letto con piacere l’intervista che il T ha pubblicato il 26 ottobre alla sociologa Marianella Sclavi. Pur partecipe della “combriccola” che organizzava le contestazioni studentesche a Trento, era sempre un viso gentile e sorridente, sempre ben considerata e amica (meglio “compagna”) dei leader. Mi pare doveroso fare alcune precisazioni, come matricola n. 842, ma che ha vissuto quei primi anni del corso di studi di Sociologia, interessato allora non a cambiare il mondo ma ad acquisire le competenze scientifiche per capirlo. E vengo alle precisazioni: non sapevo che Marianella era la matricola n.2, ma sono certo che la matricola n.1 non era uno studente di Bolzano, come dice Marianella, ma un mio amico di nome Pierluigi Kinspergher di Tonadico, già seminarista con la telara, per qualche anno commissario del Comune di Tonadico e poi tragicamente scomparso a Praga. Non si laureò per difficoltà in qualche esame e fu un suo grande cruccio. Seconda precisazione: i docenti dei primi anni di Sociologias non erano giovani di poco più anziani degli studenti: erano cattedratici già ordinari in altre università, a cominciare dal prof. Mario Volpato di Padova, matematico e Direttore, Giorgio Braga di Milano, sociologo e vice-direttore, Luigi Meschieri, di Roma, psicologo, i professori Barbieri (Storia economica) di Verona, Tentori (Antropologia Culturale) di Roma, Metelli (Psicologia generale e sociale), mi pare di Padova, Cucconi (Statistica) di Trieste, Gentile (Dottrine sociali) di Padova, Filippo Barbano (Sociologia strutturale) di Torino e tutti gli altri che si possono leggere sugli annuari. Prodi venne a insegnare Economia Industriale al seguito di Beniamino Andreatta, come altri. La docenza di Sociologia era molto qualificata, non improvvisata da giovanotti da poco laureati e i primi contestatori non ne apprezzarono la qualità. Terza precisazione: non è vero che Beniamino Andreatta insegnava saltando in piedi sulla cattedra quasi ballando; lo fece clamorosamente una volta nel corso di un’assemblea di studenti e con quel gesto intimorì un po’ i contestatori, abituati ai vecchi docenti compassati. Cordiali saluti

Renzo Gubert (contestatore dei contestatori negli anni 1965-69)
Inviato a l quotidiano T e finora non pubblicato

morale sessuale cristiana: sparite le certezze?

di il 16 Ottobre 2023 in famiglia, religione con Nessun commento
Egregio Direttore,

leggo sempre con interesse le pagine di “Noi in famiglia”: rappresentano una guida e una conferma ragionata di principi. Mi ha invece sorpreso quanto pubblicato nell’ultimo numero di domenica scorsa 8 ottobre, in particolare l’articolo sulla “svolta irreversibile del Papa” e l’articolo che valorizza le posizioni “gender” e Lgbtq. La chiave: l’assunzione del principio regolativo del discernimento per il giudizio morale sui comportamenti umani. Una volta si insegnava che la coscienza per essere assunta a giudice morale di condotte deve essere “retta”, vale a dire conforme a verità e ciascuno ha il dovere di formarsi una coscienza retta. Il discernimento frutto della coscienza trova un limite nel legittimare condotte in norme oggettivamente fondate e stabili, ossia irreversibili? Può la coscienza legittimare moralmente condotte quali l’aborto volontario, il divorzio, l’utero in affitto, l’infedeltà coniugale, relazioni sessuali extramatrimoniali, rapporti sessuali con persone dllo stesso sesso e altri comportamenti oggettivamente contrastanti con la morale sessuale “oggettiva”, come tale insegnata anche ufficialmente da sempre dalla Chiesa? Capisco l’ambizione di teologi moralisti di dimostrarsi “moderni” e comprensivi, capisco anche che un Papa si preoccupi di presentare una Chiesa accogliente, ma l’accoglienza del peccatore non può lasciare al giudizio di moralità a una valutazione soggettiva. Non ogni pulsione verso condotte richiede comprensione, ma può richiedere anche l’impegno al suo controllo, non dimenticando che dopo il peccato di Adamo l’uomo è inclinato al male e tale inclinazione va combattuta con energia, magari, anche se non è più di moda, con l’aiuto dei sacramenti, della preghiera, del sostegno della comunità cristiana.

Lettera inviata ad Avvenire e non pubblicata fino ad oggi

Il pluralismo sessuale é naturale? Osservazioni a un editoriale del quotidiano T

di il 7 Giugno 2023 in famiglia con Nessun commento

Egregio Direttore.

l’editoriale del 4 giugno del T, firmato da Sara Heiazi, che si qualifica antropologa e ricercatrice, afferma fin dal titolo che “il pluralismo sessuale è naturale”. Cosa vuol dire che è naturale? Se vuol dire che è riscontrabile nei comportamenti osservabili, non v’è dubbio. Se invece vuol dire che è “secondo natura” la prima smentita viene dal considerare le differenze tra corpo maschile e corpo femminile. La natura ha provvisto diversità di organi sessuali e riproduttivi di maschi e femmine, tant’è vero che solo interventi chirurgici e chimici innaturali possono cambiarli. Tant’è vero che la procreazione di figli avviene solo per l’incontro di cellule maschili e femminili. Ciò che può cambiare da società a società è la configurazione dei ruoli sociali di maschi e femmine, anche se, come in genere nei mammiferi, il ruolo di cura dei figli nella prima infanzia, per natura, è in netta prevalenza della madre, anche in ragione della capacità femminile di allattamento. Difficile affermare che rapporti sessuali tra maschi o tra femmine siano “secondo natura”, tant’è vero che fino a non molti anni fa l’omosessualità era considerata una “malattia” anche da organismi internazionali. Le conoscenze scientifiche hanno messo in evidenza basi ormonali della forza con la quale si accentuano mascolinità e femminilità come condizione psicologica. Da sociologo posso aggiungere condizioni sociali che favoriscono il manifestarsi più o meno forte di tendenze omosessuali, ma da questo non si desume che l’omosessualità e varianti connesse sia secondo natura e non si desume che sia sbagliato cercare di controllarle, come un uomo e una donna siano chiamati a controllare molte altre tendenze istintuali, tutte naturali ma non per questo buone o desiderabili. Sorprende un po’ che un’antropologa e ricercatrice indichi nelle pratiche sessuali degli umani prima del neolitico il vero modello di natura autentica. L’umanità ha compiuto passi notevoli di progresso grazie alla cultura, dando fondamenti scientifici e normativo-filosofici a cosa sia “secondo natura”. Deve essere buttato tutto a mare per assecondare l’orgoglio degli omosessuali, che non si preoccupano della lesione dei diritti di bambini cui è tolta la madre o è reso sconosciuto il padre?

INVIATO AL QUOTIDIANO T E FINORA NON PUBBLICATO

disciplinare la sessualità è un artefatto della borghesia?

di il 20 Maggio 2023 in famiglia con Nessun commento

Egregio sig. Direttore,

se l’editoriale comunica l’orientamento di chi dirige un giornale, mi permetto, da abbonato, di capire le ragioni per le quali per chi dirige il giornale sia liberazione il venir meno della disciplina dell’esercizio della sessualità, come recita il titolo di un articolo di una professoressa di Scienza della Politica all’Università di Trento Alessia Donà, che non ebbi l’occasione di conoscere quando alla medesima università insegnavo. La tesi sostenuta dall’editoriale è che il considerare normale che una persona di un sesso abbia relazione stabile con persona dell’altro sesso, formando una famiglia, nel cui grembo nascono e crescono i figli è stato un artefatto delle classi borghesi che hanno voluto costruire lo stato-nazionale, combattendo contro la dissolutezza delll’aristocrazia. L’etica borghese si sarebbe poi estesa a tutta la società. Per la scienziata politica, grazie ai movimenti di omosessuali e transsessuali la società contemporanea occidentale ha dapprima smesso di considerare l’omosessualità una malattia e poi sostiene politiche culturali che la celebrino con orgoglio. L’editorialista infine raccomanda ai lettori trentini di partecipare alla prossima manifestazione dell’orgoglio gay a Trento.

Prima questione riguarda se sia proprio così negativo il disciplinamento, almeno a livello etico e culturale, dell’esercizio della sessualità. Se esso è solo un artefatto, magari al servizio di un progetto di potere, come afferma l’editorialista, esiste la necessità che si pongano dei limiti alle modalità della sua espressione? Seconda questione: se la natura ha reso i mammiferi esseri viventi distinti tra maschi e femmine, ciascuno provvisto di organi per la copulazione e la riproduzione, non è che per caso sia un artefatto sociale la legittimazione di uso dei genitali in modo difforme da quello naturale proprio dei mammiferi? Terza questione: in tutte le società che nei decenni di ricerche sociologiche in tutti i continenti ho avuto modo di conoscere, la normalità deil’espressione della sessualità è quella del rapporto sessuale tra uomo e donna, talvolta sotto forma anche di famiglie con più donne per un uomo e, più raramente, di più uomini per una donna. Solo in alcuni piccoli segmenti secolarizzati della società post-industriale occidentale ha una qualche diffusione il rapporto di coppia omosessuale. Non è per caso che sia questo un artefatto socio-culturale, deviante dalla norma di “natura”? Ultima nota: le dure condanne che nella Bibbia sono contenute nei confronti della pratica dell’omosessualità non pongono nessun interrogativo a chi finora non ha preso le distanze dal messaggio cristiano? Prima di dire che la condanna della disciplina della sessualità è un artefatto borghese a fini politici consiglierei alla editorialista del giornale di leggere non solo qualche pamphlet della lobby LGBT, ma anche la Bibbia, per capire che il disciplinamento dell’esercizio della sessualità ha radici ben più profonde e antiche di quelle delle esigenze di controllo sociale da parte della borghesia di Ottocento e Novecento.

INVIATO A T QUOTIDIANO E FINORA NON PUBBLICATO

Bruni su Avvenire: la Riforma di Lutero meglio della Riforma cattolica

di il 29 Aprile 2023 in religione con 2 Commenti

Egregio Direttore,

nella terza pagina di Avvenire del 23 aprile un lungo articolo di Luigino Bruni mi ha lasciato sconcertato: la Controriforma cattolica per Bruni aveva ed ha torto mentre la Riforma protestante e Lutero aveva ed ha ragione. Sacrificio e merito sono categorie appropriate a “idoli” e la Chiesa cattolica che le ha proposte ha sbagliato in modo evidente. La stessa domenica del 23 aprile il Vangelo della Messa raccontava come Gesù di Nazareth spiegava ai discepoli di Emmaus, sconcertati per la brutta fine da lui fatta, come fosse necessario che egli venisse sacrificato, in adempimento alla Scrittura. Evidentemente l’evangelista Luca, stando a Bruni, ha falsificato le parole di Gesù. Per Bruni sbagliato pensare alla Messa come sacrificio, come sbagliato il culto dei santi e sbagliato valorizzare il sacrificio. Ingannate le mamme che si sono sacrificate per la famiglia: penso a mia madre che ha avuto undici figli e a mia moglie che ne ha avuti nove e a mia suocera che ne ha avuto sette. Ingannati i bambini che erano invitati da sacerdoti, suore e catechiste a disciplinare i loro desideri anche rinunciandovi. Guai pensare a meriti e demeriti. Il sig. Bruni è ovviamente libero di pensarla come crede, di essere estimatore più di Lutero, in materia, che del magistero conciliare cattolico. Ciò che mi chiedo è che abbia a che fare Avvenire con queste valutazioni. Già c’è disagio per alcune posizioni assunte dal giornale, che pur rientrano nella libertà di opinione anche in un quotidiano definito “dei vescovi italiani”. Se adesso si mette a fare da megafono alle tesi di Lutero e alle sue condanne della Chiesa cattolica mi chiedo cosa abbiano a che fare con Avvenire i laici cattolici italiani.

INVIATO AL DIRETTORE DI AVVENIRE E NON PUBBLICATO

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