Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Archivio per Dicembre, 2018

Teoria gender e programmi integrativi nelle scuole:sbagliato evitarlo?

Sul Trentino del 31 dicembre sono riportate dichiarazioni del cons.Ghezzi e della cons. Ferrari, duramente critiche nei confronti della Giunta provinciale per aver sospeso corsi integrativi scolastici inerenti parità di genere al fine di verificare se tali corsi non fossero lo strumento per educare bambini e ragazzi alla “teoria del gender”, ossia la teoria secondo la quale l’identità sessuale sarebbe una “costruzione sociale”.

Mi auguro che la passata Giunta provinciale non abbia avallato per anni programmi scolastici integrativi che propongano agli alunni simili posizioni culturali, ma certo la veemenza con la quale i due consiglieri sopra citati hanno reagito fanno sospettare che gli amministratori di sinistra della scorsa legislatura abbiano paura che la loro operazione culturale, volta a somministrare, anche in dosi omeopatiche, la teoria del gender, venga disvelata. E per cominciare negano che una “teoria del gender” esista, il modo che ritengono più efficace per non farne scoprirne gli elementi in alcuni programmi da loro finanziati.

L’accusa alla Giunta Fugatti e agli assessori competenti al riguardo, sarebbe di essere un Giunta etica. Sorprende che uomini di cultura non abbiano coscienza del fatto che l’etica è connaturata alla politica. Questa persegue il bene comune. E il giudizio su ciò che è bene o non lo sia è proprio un giudizio etico. Quanto Ghezzi e Ferrari sostengono, ossia l’educazione degli alunni a sfuggire agli elementi di identità sessuale dovuti alla “costruzione sociale”, per essi è un bene, mentre è un male non farlo. La loro scelta, come tutte quelle politiche, deriva da valutazioni etiche. La differenza tra la Giunta Fugatti e i responsabili delle politiche relative alla scuola e alla parità uomo-donna della precedente legislatura è che differisce l’etica. E se si approfondisce un po’, a voler imporre le proprie valutazioni etiche nel proprio agire amministrativo, erano stati questi ultimi, mentre la Giunta Fugatti vuole salvaguardare la primaria responsabilità educativa dei genitori, riconsegnando a loro, come la Costituzione vuole, le decisioni circa l’educazione sessuale.

La cons. Ferrari giustamente cita la diversità di uomo e donna, che merita anche per lei rispetto; tuttavia nega che da questa diversità possano discendere scelte diverse tra uomo e donna. Si tratta di una posizione ideologica di stampo vetero-femminista. Corrisponde all’esperienza comune, fondata anche su ricerche scientifiche, che le diversità tra uomo e donna nel cervello, nei ritmi biologici in età fertile, nella configurazione somatica, nelle potenzialità generative, ecc., che vi siano diversità medie tra uomini e donne, diversità che aprono a complementarietà uomo-donna che danno fondamento solido al rapporto di coppia e influiscono sui rapporti educativi, ma non solo, tra padre, madre e figli. Il constatare che tali diversità uomo-donna hanno conseguenze in parte diverse in società diverse non autorizza a considerare da rimuovere tali differenze, come fossero un condizionamento negativo. Saranno le autonome dinamiche sociali a produrre i cambiamenti, ma senza la pretesa che essi non siano a loro volta “costruzioni sociali” basati su differenze che costruzioni sociali e stereotipi non sono.

Sono i corsi miranti a cambiare, per via politico-amministrativa, i modi di interpretare la propria identità sessuale, ad essere di impronta autoritaria. Ed è quanto fatto dai sostenitori della “teoria del gender”. Bene, quindi, ha fatto la Giunta Fugatti a cautelarsi al riguardo, proprio per non continuare in un’impostazione autoritaria.

Concentrare ambulatori dei medici di famiglia: gli svantaggi taciuti

di il 29 Dicembre 2018 in sanità, tecnocrazia con Nessun commento

in questi giorni l’Azienda Sanitaria di Trento ha dato inizio a una riorganizzazione dei servizi di medicina di base di Trento Sud, concentrando le prestazioni in locali del Centro di viale Verona, Alcuni medici hanno aderito volontariamente, mentre altri medici di base, i più, sono obbligati a farlo per un certo numero di ore, evidentemente sottratte alla presenza nei loro ambulatori nei sobborghi.

Sui giornali si è data notizia del disaccordo del sindacato CISL, che raggruppa un buon numero di medici di base e di medici di guardia medica. E’ annunciato uno sciopero ricorrente a partire da gennaio. Il motivo dichiarato è la concorrenza sleale fatta dai medici che opereranno negli ambulatori di viale Verona rispetto agli altri , fruendo gratuitamente degli ambulatori.

Mi sembra utile considerare la riorganizzazione, decisa dalla precedente Giunta Provinciale, non solo dal punto di vista degli operatori, ma anche degli utenti. Viene vantata la possibilità di avere sempre un medico a disposizione per 12 ore al giorno (da estendere forse in futuro), ma si tace sui possibili svantaggi. Il primo è la diminuzione delle ore a disposizione degli assistiti da parte del medico di base nel suo ambulatorio situato in prossimità dell’utenza. Già ora, e da tempo, le ore non sono quelle con le quali era a disposizione il vecchio medico condotto, sempre contattabile e in caso di necessità reperibile. Se poi un medico di base deve essere presente in più sobborghi, le ore di disponibilità nel proprio sobborgo calano ulteriormente.
Per necessità fuori orario ci sono i medici di guardia, ma credo di dire una cosa della quale sono tutti consapevoli: il medico di guardia non conosce la situazione di tutti i pazienti e ciò crea disagio, in lui, ma soprattutto negli utenti. Concentrando gli ambulatori sul territorio, con presenza di altri medici diversi da quello proprio, anche se si tratta di medici di base e non di guardia, il disagio non cambia. Per certe terapie ricorrenti o continue basta una telefonata al proprio medico di base per ottenere la ricetta telematica che consente di curarsi. Lo si potrà fare con un medico che non conosce personalmente l’utente? Tra medico e utente si stabilisce un rapporto di reciproca fiducia; non è infrequente che il medico curante prolunghi il suo orario per non lasciare senza essere ricevuto uno dei suoi utenti (a volte le code sono lunghe), ma lo potrà fare il nuovo Centro collettivo, scadute le dodici ore di apertura?

Da ultimo inviterei a considerare anche il solo fatto logistico; dal medico di base vanno, più spesso di altri, persone anziane. Data la prossimità si muovono a piedi dalla loro casa all’ambulatorio, di solito posto in centro al paese. Come potranno costoro andare fino a viale Verona? Spesso servono non un autobus, ma due e poi per un anziano non è facile salire e scendere da un autobus. Possono anche chiedere di essere trasportati in auto da un familiare, ma i tempi di lavoro dei familiari non sempre lo consentono. Concentrare le localizzazioni dei servizi può forse ridurre i costi per l’Azienda Sanitaria, ma riversando maggiori costi sull’utente o comunque maggiori disagi. Mi chiedo perché la Giunta Provinciale prima e l’Azienda Sanitaria poi non abbiano consultato gli utenti prima di prendere decisioni di concentrazione dei servizi in nome di un orario ampliato. La nuova Giunta Provinciale potrebbe farlo. Un tempo esistevano forme istituzionali di consultazione degli utenti: perché non riattivarle?

Natale secolarizzato anche nelle chiese: Gesù da messia politico a messia sociale

di il 21 Dicembre 2018 in COMMERCIO con Nessun commento

Su l’Adige del 20 dicembre scorso è pubblicato l’editoriale di Donata Borgonovo Re e tra le lettere una di un gruppo di lettori che sostiene l’appropriatezza del presepe “attualizzato” della Chiesa del Santissimo di Trento. Se Gesù nascesse ora, nascerebbe su un barcone: questa la tesi, volta a sottolineare come Gesù abbia scelto di nascere in povertà tra i poveri. Una volta erano i pastori che sostavano la notte in grotte e ripari precari; ora sono coloro che per immigrare in Europa si imbarcano in barconi precari. Ci sarebbe molto da osservare sulla proponibilità del parallelo, ma non è su questo che volevo richiamare l’attenzione, quanto sull’interpretazione della venuta di Gesù tra gli uomini. Quella proposta si focalizza sulla dimensione sociale: la sua venuta vorrebbe insegnare l’amore per i poveri, ieri i pastori e oggi gli immigrati clandestini.

Non so se i pastori fossero dei poveri, in una società dove la pastorizia era un’attività rilevante, visto l’ambiente del Medio Oriente. Basti pensare ad Abramo, ricco pastore, che si separa da Lot pur egli ricco pastore. E neppure chi oggi impiega qualche migliaio di euri o di dollari per pagare coloro che organizzano le migrazioni clandestine sembra essere nella sua società un povero. I poveri non hanno i soldi per pagarsi il viaggio, né hanno istruzione e strumenti di comunicazione utili durante e dopo il percorso migratorio. Ma, fossero anche poveri, l’interpretazione della venuta di Gesù per insegnare la solidarietà sociale è semplicemente riduttiva, tipica di una società secolarizzata, nella quale concetti come “peccato”, “redenzione” “vita eterna” “salvezza” non hanno più senso e se lo hanno è confinato nell’immanenza, nella dimensione sociale (escluso il concetto di “vita eterna”, che ad essa non si può proprio ridurre, a meno che non si dia a “vita” il significato di perdurare della memoria di un uomo o donna tra gli uomini, come si fa in qualche funerale “laico”).

L’attesa del Messia ai tempi di Gesù, e anche da parte dei suoi seguaci, era riferita a una dimensione politica; ora alcuni (molti) la riferiscono a una dimensione sociale. Ma quanti sono stati i profeti di liberazione politica dall’oppressione e di liberazione sociale dall’ingiustizia e dalla povertà? Si può credere o meno che Gesù sia proprio Dio fatto uomo: in fondo è irrilevante per la comprensione del suo messaggio morale. E così si può celebrare il ricordo della sua venuta sottolineando che ciò che conta è il suo messaggio morale. E per far questo si trasfigura anche la sua nascita come scelta per i più poveri, per i marginali. Si dimentica che Gesù era figlio unico di un artigiano con una giovane moglie devota, che aveva una casa in una cittadina, probabilmente non male attrezzata visto il suo mestiere, e che è nato in una stalla per caso, e non perché Giuseppe non avesse il denaro per pagare una stanza d’albergo, ma perché la città era sovraffollata di gente e gli alberghi avevano le stanze tutte occupate. E’ successo anche a me che a Roma, da giovane docente: non trovavo una stanza d’albergo a morire e ho dormito sotto le pensiline della Stazione Termini. E quanti, a casa mia, una casa agricola a Primiero, negli anni Cinquanta, bussavano per poter passare la notte nel fienile o d’inverno, nella stalla! Nei miei giri di più giorni in bicicletta, da giovane, con gli amici si chiedeva ospitalità ai contadini, nei fienili. E non ci sentivamo miserevoli e reietti. Siamo abili a usare la retorica del povero, dell’eroe, del generoso, se ci serve per non affrontare la realtà così come è e rafforzare e propagandare, invece, le nostre convinzioni.

Il Natale non è la festa della solidarietà, ma è la festa per avere avuto in dono la vita eterna (invece che il nulla eterno, la dannazione eterna), nonostante la nostra miseria di miscredenti. “La tua fede ti ha salvato”, diceva spesso Gesù dopo un miracolo. Ma crediamo ancora, noi cristiani, laici e preti, a Gesù Dio fatto uomo per donarci la vita eterna?

Abbiamo bisogno di un partito di esplicita e prevalente ispirazione cristiana

di il 20 Dicembre 2018 in COMMERCIO, partiti politici con Nessun commento

Un amico mi ha inoltrato un articolo pubblicato sulla Newsletter n.127 del 19 dicembre 2018 di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” intitolato “Non abbiamo bisogno”. Sostiene che non c’è bisogno nè di un partito di cattolici e neppure di un partito di ispirazione cristiana. E’ una tesi dominante da quando la Democrazia Cristiana si dissolse come grande partito di ispirazione cristiana. Anche le guide della comunità ecclesiale italiana erano di questa idea: basta l’unità sui valori, si sentiva dire. E ricordo le riunioni di parlamentari cattolici organizzate dall’on. Fronza Crepaz, del Movimento dei Focolari, proprio per mantenere l’unità sui valori  nella situazione di diaspora dei politici cattolici, collocati in partiti di opposte coalizioni. Era stato il Concilio (Gaudium et Spes) ed enunciare il principio per cui l’unità della fede non obbligava all’unità nella politica e già la DC non era il partito dei cattolici, ma un partito di cattolici, laico di ispirazione cristiana.
Come mai nel Notiziario in questione si sente il bisogno di insistere sulla tesi che non ci sia bisogno di un partito di cattolici o, in un’altra parte del testo, di un partito di ispirazione cristiana? Evidentemente perché è cominciata ad emergere tra laici cattolici e nell’episcopato italiano l’idea che l’irrilevanza politica dei cattolici di questi anni poteva consigliare di rivedere la tesi ultraventennale che bastava l’unità nei valori, per camminare, invece, verso strumenti più incisivi di azione politica. Dall’affermazione di Paolo VI che l’impegno politico è un’alta forma di carità si è passati a riconsiderare la situazione, per vedere se non facesse parte di una carità efficace  la ricerca di forme organizzative più incisive di praticarla. E così sono nate iniziative per individuare tali forme più incisive.
L’articolo del Notiziario afferma che si debbano cercare nuove modalità di impegno politico che non partano da identità, ma da passione politica per affrontare problemi che sono di tutti, quello ambientale, quello delle conseguenze negative della globalizzazione, e altri ancora. La conferma di questa tesi si troverebbe nei fallimenti dei tentativi di costruire un partito politico di ispirazione cristiana e porta l’attenzione al processo in corso di rianimare la Democrazia Cristiana, ibernata per quasi un quarto di secolo. Sono tra quelli che si è impegnato, da vecchio socio della DC nell’ultimo anno nel quale si è avuto il tesseramento in tutta Italia (1992), a ricostituirne gli organi, in modo da poter aprire ora, secondo Statuto, le iscrizioni a coloro che ritengono utile in Italia un partito di ispirazione cristiana. Le iscrizioni si sono aperte da poco ed è non solo ingeneroso, ma fuorviante, pronunciare una sentenza di fallimento, non sulla base delle adesioni, ma di un’autosopensione del neo Presidente del Consiglio Nazionale, on. Gianni Fontana, prima dichiarata, poi negata continuando a presiedere la riunione del Consiglio Nazionale e poi ridicharata a un giornalista. La riattivazione della DC non avrà un buon risultato se una persona, per quanto autorevole, ne sarà o meno partecipe, ma se verrà riconosciuta come positiva da cittadini che ritengono utile all’efficacia della “carità politica” un partito di ispirazione cristiana, godendo tra l’altro la Dc di una storia e di una tradizione di uomini e cristiani eccelsi, a cominciare da Sturzo e Degasperi. Aspetti, quindi, almeno qualche mese, l’articolista, prima di pronunciare fallimenti.
Vorrei infine invitare l’articolista a riflettere su un punto: se è vero che su molte sfide cruciali per l’umanità di oggi è pensabile trovare convergenze che possono fare a meno di un partito che fonda la propria identità di ispirazione sul pensiero sociale cristiano, può dire altrettanto per un’altra delle sfide epocali, che l’articolista non menziona, e che si può riassumere nella “questione antropologica”? Gli sviluppi nel campo della genetica, della cura di malati gravi mettono alla prova la capacità dell’uomo di governare eticamente tali potenzialità tecniche. La possibilità di disgiungere procreazione e unione sessuale di uomo e donna e la crescita di individualismo egocentrico nelle relazioni di coppia mettono a grave rischio la stabilità della famiglia come ambito umano più adatto a una crescita delle nuove generazioni. Da una vita, ormai, con conferme evidenti nelle mie tre legislature da parlamentare, ho maturato la convinzione che affrontare questa sfida antropologica (concezione dell’uomo e di sessualità e famiglia) sia irrealistico senza impegnare i cristiani che in merito hanno maturato convinzioni profonde, non solo sulla base di dogmi di fede e di morale, ma anche di laica concezione dell’uomo e della famiglia. Danneggia l’affronto di questa e di altre sfide, citate dall’articolista, se si riattiverà un partito di esplicita e prevalente ispirazione cristiana, meglio se in continuità storica con un’esperienza ormai centenaria? Arduo sostenerlo, come sostenere che sia inutile; più facile che, invece,  ciò sia di aiuto. Il non affronto adeguato di queste sfide negli ultimi decenni dovrebbe rendere prudenti nel sostenere che di un tale partito non si sente bisogno.

Presepi, crocefissi: contro laicità ed espressione di strumentalizzazione?

Sui giornali locali si ripetono prese di posizione critiche di orientamenti assunti dalla nuova Giunta Provinciale, in particolare dal suo Presidente Fugatti e dall’assessore Bisesti, in merito a sorveglianza della Chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento, chiesa che fu adibita ad aula del Concilio di Trento, e all’invito a mantenere i simboli della civiltà cristiana nelle scuole, quali il crocefisso e, per il periodo natalizio, il presepe.

Due i rilievi per lo più mossi dai critici: la laicità dello stato e l’indegnità morale di coloro che mentre valorizzano luoghi e simboli del cristianesimo, di questo negherebbero fondamentali principi morali nel modo nel quale è regolato il fenomeno migratorio e il trattamento degli immigrati. Nel suo stesso editoriale dell’ultimo numero di VT pare indirettamente dire che le nuove regole non rispetterebbero i fondamentali diritti umani, richiamando la celebrazione del 70°anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Nell’intervento di Dialogo aperto di Ruggero Morandi c’è già traccia di un diverso modo di concepire la laicità rispetto a quella adottata da tanti cristiani, mutuata da quella giacobina francese. E’ il modo nord-americano, già evidenziato da Alexis de Tocqueville. L’apporto alla cultura e alla politica da parte di confessioni religiose non va sterilizzato in nome dello stato fondato su una sorta di religione civile (la “dea ragione”), bensì accolto e valorizzato. Nel caso dell’Italia, dell’Europa e di tutte le culture che hanno vissuto secoli di cristianesimo, si può e si deve andare oltre anche la visione “nord-americana”, in quanto il cristianesimo come civiltà non è una delle confessioni religiose, ma quella che ha costituito la stessa identità culturale e sociale. Qualche lettera pubblicata ha richiamato il patrimonio artistico, e si può dire di ogni arte, dalla pittura alla scultura, dalla musica all’architettura, ma si deve richiamare anche lo stesso calendario ritmato dalle festività, la stessa filosofia e la nascita delle scienze naturali e sociali. Se si dovessero escludere dal legittimo rilievo pubblico tutte le espressioni di cultura che derivano dalla civiltà cristiana, l’Italia, l’Europa e molte altre parti dell’umanità sarebbero private del rilievo pubblico della loro identità. E’ cresciuta la secolarizzazione, ma gli elementi di identità cristiana sono rimasti centrali. Perché chi è deputato a perseguire quella parte di bene comune che pertiene alla politica dovrebbe sentirsi impedito di tutelare tali elementi, pena sentirsi definire clericale, integralista, ecc.? Lo stesso insegnamento della religione cattolica nelle scuole è un’espressione di avveduta laicità.

E passando al secondo rilievo, quello più mosso da alcuni ambienti cattolici, si continua a non capire come sia dovere del cristiano impegnato in politica il perseguimento del bene comune. Leggi e provvedimenti amministrativi devono essere orientati ad assicurare il bene di tutti. L’osservanza delle leggi, specie se assunte in modo democratico, è un dovere morale. Come già ho avuto modo di osservare in altra occasione, la Dichiarazione universale dei diritti umani, non prevede affatto il dovere degli stati di accogliere tutti coloro che desiderano stabilirvisi. Ogni stato può fissare delle regole ed è dovere civile osservarle. Se uno Stato ha firmato delle convenzioni internazionali ha l’obbligo di osservarle, ma non consta che lo Stato italiano le violi, neppure con le ultime decisioni democraticamente assunte. Cosa c’è di immorale, di indegno, se delle forze politiche agiscono secondo la visione di bene comune, tra l’altro condivise da tutti gli stati? Solo una visione integralista del cristianesimo pretende che l’invito all’accoglienza di ogni persona in nome della fratellanza universale si traduca in dovere di emanare norme civili che accolgano tutti coloro che vogliono stabilirsi in una comunità statuale. L’insegnamento della Chiesa, anche quello trasmesso dai Papi, compreso Papa Francesco, ha sempre riconosciuto il dovere degli Stati di determinare i flussi migratori in funzione del bene comune e in una precedente lettera a Vita Trentina li avevo segnalati. Ma anche ammesso, e non concesso, che chi stabilisce tali limiti pecchi contro Dio e contro gli uomini, non deve valere per lui il valore della misericordia? Questo vale solo per chi uccide esseri umani nel ventre materno, mette in crisi per proprio egoismo la propria famiglia, tradisce le promesse di fedeltà al proprio coniuge, non si propone di controllare eventuali pulsioni a vivere una sessualità disordinata, non si cura dell’educazione dei figli, viola i precetti della Chiesa? Più modestamente ci si dovrebbe limitare all’invito a curare in modo adeguato la transizione da un regime a un altro, in modo ragionevole

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