Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Sistema elettorale per il Trentino – Alto Adige: il diavolo insegna al centro-sinistra trentino a far le pentole, ma non il coperchio

Molti i commenti sull’esito elettorale del 4 marzo, ma manca l’osservazione sulle conseguenze del particolare sistema elettorale previsto per il collegio plurinominale del Trentino Alto Adige. Per garantirsi l’alleanza con la SVP, il PD ha concesso un rovesciamento dei rapporti tra uninominale e proporzionale previsto in tutta Italia, con conseguenze evidenti specie per le elezioni al Senato. Non due terzi di eletti nel proporzionale e un terzo nel maggioritario, ma l’inverso.

La motivazione addotta è quella della garanzia di tutela della minoranza di lingua tedesca dell’Alto Adige/Suedtirol, ma si tratta di una bugia. Per tutelare la minoranza tedesca in un sistema proporzionale basterebbe la previsione, peraltro introdotta, di una soglia regionale (o anche provinciale) anziché di una nazionale. I collegi c’erano anche col Mattarellum, ma vi era un correttivo, lo scorporo, che lasciava spazio a forze politiche perdenti nei collegi. Invece SVP e PD hanno voluto “strafare”, non prevedendo lo scorporo e riducendo la quota di proporzionale. La SVP metteva fuori gioco liste concorrenti proposte da esponenti della minoranza germanofona, poteva guadagnare l’unico eletto al Senato con metodo proporzionale e scegliersi i parlamentari di lingua italiana (Camera e Senato) in provincia di Bolzano. Il PD godeva dei vantaggi, e ha potuto far eleggere persone estranee alla minoranza italiana dell’Alto Adige che avrebbero avuto difficoltà a farsi eleggere nei loro territori. Poiché, poi, il centro-sinistra autonomista (PD, UPT e PATT) pensava di vincere in Trentino, ha esteso, pronubi i suoi parlamentari, il sistema adottato per la provincia di Bolzano anche alla Provincia di Trento, riducendo in parallelo i posti di parlamentare da assegnare col proporzionale e quindi restringendo le possibilità di rappresentanza delle altre forze politiche.

Come dice il proverbio, il diavolo insegna a far le pentole, ma non il coperchio. La SVP e il PD hanno ottenuto quel che volevano in Alto Adige, ma in Trentino il centro-sinistra autonomista si è visto rovesciati i vantaggi pensati per la loro pentola nella pentola del centro-destra. E’ il centro-sinistra a pagare per la riduzione delle quote proporzionali e il centro-destra a trarre vantaggi. Non è male che sia stata data una lezione a chi ha voluto fare regole a proprio vantaggio! Riflettano Dellai, Panizza, Nicoletti, e gli altri parlamentari trentini (che pagano lo scotto) e rifletta anche la SVP, che dalla scelta “blockfrei” è passata all’alleanza strategica con il PD. Che non convenga anche al gruppo tedesco sudtirolese lasciare che la minoranza italiana possa scegliersi la propria rappresentanza parlamentare? E lasciare aperture di rappresentanza politica pluralistica anche al gruppo tedesco? Gli errori di ingordigia si potrebbero pagare!

Elezioni nazionali e prospettive per le elezioni provinciali d’autunno in Trentino

di il 17 Marzo 2018 in elezioni, partiti politici con 1 Commento

Che il centro-sinistra autonomista perdesse in Trentino tutti i collegi, uninominali e del proporzionale, salvo che una eletta nel proporzionale del PATT grazie ai voti in Alto Adige della SVP, nessuno se lo aspettava. Il PATT addirittura pubblicava un ultimo sondaggio che assegnava al centro-sinistra autonomista con largo margine non solo tutti i collegi, ma anche il collegio fino ad allora incerto di Pergine Valsugana. E poi c’è qualcuno, direttore di giornale, cui non interessa sapere se i metodi usati nel sondaggi danno risultati attendibili!

In autunno ci saranno in regione le elezioni provinciali, quelle che più contano per due Province che hanno larghi poteri di autonomia. E se finora pochi davano per probabile in Trentino una sconfitta del centro-sinistra, puntando a un’alternativa a partire da liste civiche di opposizione o in formazione, ora il quadro appare fortemente cambiato, nonostante ci sia chi si sforzi (il Presidente Rossi) di far considerare l’esito delle nazionali non ripetibile nelle provinciali, come altre volte in passato.

Si dice che il Trentino, per le nazionali, subisce il “vento” nazionale, ma che questo cesserà di soffiare in autunno per le provinciali. A parte che in autunno potrebbero esserci di nuovo elezioni nazionali, con “venti” che sarebbero rafforzati, sono troppo pochi i mesi che ci separano da ottobre perché il “vento” finisca. Il “vento”politico non è qualcosa di ineluttabile e poco prevedibile come quello meteorologico. Esso nasce con dinamiche più simili a quella della palla di neve che, in determinate condizioni, rotolondo lungo un pendio innevato, si ingrossa sempre più e diventa grande massa inarrestabile. Dapprima poche persone hanno il coraggio di dichiarare apprezzamenti per partiti o formazioni politiche non ortodosse secondo il “politicamente corretto”, imposto da gran parte dei giornali e delle TV, specie pubbliche. Ma, nelle condizioni adatte, alle poche persone se ne aggiungono altre, qualcosa si modifica anche in qualche emittente televisiva, in qualche articolo di giornale, e la moltiplicazione avanza, avanza sempre più, ciascuno rafforzato nei primi azzardi dalle dichiarazioni di altri. E si forma il “vento”. Se non si segue, si va controvento, e sono sempre meno coloro che, gente comune che chiacchiera con amici, conoscenti, dicono di contrastare il vento. Fin qui una mera constatazione sociologica e di psicologia sociale. Il rinforzo crescente di un’opinione diffonde quell’opinione fino a innescare fenomeni di conformismo dell’anticonformismo, dell’eterodossia, del politicamente “scandaloso”.

Improbabile che in pochi mesi tutto ritorni alla situazione precedente, soprattutto perché le condizioni che hanno favorito il sorgere del vento non sono eliminabili facilmente. Innanzitutto conta la voglia di cambiare. Da troppi anni comanda il centro-sinistra, che di fatto ha assorbito il PATT, disposto a perdere la sua parte più tradizionale. Da troppi anni si è consolidato un sistema di potere “parallelo” a quello formale, tramite società varie pubbliche e para-pubbliche, che sfuggono alle procedure di garanzia di imparzialità e di efficienza. Ricordo gli ultimi anni della gestione DC: non bastava aver amministrato tutto sommato bene. C’era voglia di cambiare, fino al punto che la DC, partito ancora di maggioranza relativa, aveva offerto sostegno a una leadership del PATT, tra l’altro restio ad accettarlo.Era un vento nazionale che spazzava il Trentino, trovando condizioni favorevoli. Non ci saranno PD, UPT, PATT di quasi-sinistra che tengano. La gente vuole cambiare. E i sindaci, che magari dovrebbero sentire obblighi di votare per chi ha dato loro risorse pubbliche per i loro programmi locali, faranno solo finta di sostenere le forze di governo provinciale, perché temono di essere spiazzati alle prossime comunali. Cose già viste.

Ma il “vento” non cambia solo per le forze di maggioranza di centro-sinistra; cambia anche per le opposizioni. La coalizione di centro-destra, specie attraverso la Lega, si è molto rafforzata e i vari movimenti civici dovranno prenderne atto. Non saranno più loro i “registi” dell’alternativa, ma le quattro formazioni politiche del centro-destra, Lega in primis. Certo i civici di opposizione e quelli in via di costruzione politica sono e saranno essenziali per una vittoria, che già per le nazionali deriva in parte anche dal loro sostegno al centro-destra, ma la strategia del costruire dapprima un nucleo civico e poi allargarlo al centro-destra è superata e non facilmente recuperabile.

I trentini sono in generale moderati, ma dubito che non valga anche per essi una legge di psicologia sociale che vede più propensi a giustificare un peccato se lo si è commesso personalmente. Votare Lega o M5S per un trentino moderato è un “peccato”, è uno strappo alla consuetudine. Nonostante che Di Maio non sia Grillo e Salvini non sia Bossi (quello giovane), votare i “grillini” o i leghisti va pur sempre contro la tradizionale moderazione. Il voto alla Lega è poi un peccato grave anche per molto clero cattolico. Chi vota Lega o centro-destra non accetta l’insistenza con la quale vescovi (compreso quello di Trento e il settimanale diocesano) e Papa predicano come dovere morale quello dell’accoglienza incondizionata, senza dare dignità di valore morale a scelte che cercano di raggiungere il bene comune anche nella regolazione e nel governo dei flussi migratori. Ma chi ha già peccato, tende ad essere più permissivo verso gli altri che compiono lo stesso peccato e tende a ri-peccare egli stesso. C’è scandalo per un Salvini che dice di credere nel vangelo e che mostra un rosario, anche se non si dice nulla degli inviti in chiesa a parlare di politica alla radicale Bonino e alla Boldrini, note per le loro posizioni su aborto, ideologia “gender”, utero in affitto, suicidio assistito ed eutanasia. La trasgressione e il gusto di farla, quindi, non si smorzerà per ottobre: il “vento” continuerà a soffiare.

7 marzo 2018

Democrazia in corruzione: autoritarismo partitico (l’esempio del M5S) e responsabilità dei giornalisti

Al Direttore de l’Adige Pierangelo Giovanetti,
il suo editoriale su l’Adige di domenica 31 dicembre coglie forse la principale delle questioni attinenti al sistema politico italiano e dei paesi europei: la vitalità delle convinzioni democratiche. Non che manchi il sostegno verbale alla democrazia, ma con il termine “democrazia” si mascherano atteggiamenti che la minano in profondità.- Lei porta alcuni risultati di ricerche demoscopiche fatte negli USA. Nell’ultima indagine dell’European Values Study (che si svolge con periodicità novennale e che ha visto l’Università di Trento come responsabile per l’Italia, da ultimo assieme alla Cattolica di Milano) la situazione risultava un po’ meno preoccupante per quanto concerne il sostegno a governi militari o esplicitamente autoritari, ma non altrettanto si può dire per governi di esperti che non debbano fare i conti con i parlamenti. E’ la corruzione tecnocratica del sistema democratico, a parole sempre sostenuto, ma svuotato.
Lei vede come cause rilevanti di tale fenomeno la fragilità del sistema elettorale, che “non è in grado di trasformare in linea di governo un consenso frammentato” e l’interesse di sistemi autoritari orientati aa accrescere la loro influenza internazionale (in primo luogo la Russia di Putin) a destabilizzare l’Unione Europea, i suoi paesi e più in generale l’Occidente. Dubito che un sistema elettorale sia in grado di trasformare un consenso frammentato in governabilità, se vuole rimanere democratico, vale a dire in grado di rappresentare le opinioni dei cittadini. Il sistema “italicum” voluto dal PD voleva fare quanto Lei auspica, ma la Corte Costituzionale lo ha giudicato non democratico.
Accanto a disegni di leader di sistemi autoritari , dei quali Lei riferisce (cause esterne), vi sono peraltro altre cause interne da porre all’attenzione di chi ama la democrazia, e di queste proprio il sistema dei mezzi di comunicazione, giornali compresi, portano responsabilità. L’inneggiare alla “morte delle ideologie”, divenuto di moda dopo la caduta dei regimi comunisti dell’Este Europa, altro non fa che privare il sistema democratico di un retroterra culturale stabile su cui basare le scelte elettorali e di partito. Il sistema politico, il voto, si è fatto “liquido” per dirla alla Bauman (e si rimedia con l’autoritarismo e il leaderismo) Il sottolineare da decenni la governabilità a scapito della rappresentatività ha svuotato le assemblee elettive (dal Comune all’Unione Europea) a favore del potere di “capi” (dal sindaco ai capi di governo) che condiziona pesantemente il loro ruolo.
Ultimo esempio, l’attacco alla libertà dei parlamentari previsto nelle ultime decisioni statutarie e regolamentari del Movimento 5 Stelle. Il nominato leader Di Maio promette che farà dimettere dal Parlamento gli eletti che “cambiano casacca” (e non solo per gli eletti del M5S, per tutti gli eletti), e che darà multe salate a chi vota in dissenso. Il massimo del partitismo autoritario, sintomo della mancanza di coesione di partito o di movimento su base di condivisione di valori e di loro declinazione politica (ideologia). Molti “comunicatori” dei mezzi di comunicazione non hanno fatto altro che gettare fango sui parlamentari che hanno “cambiato gruppo”. La colpa era sempre dei parlamentari, che avrebbero tradito gli elettori. Non si sono mai chiesti se il cambiare gruppo o il votare in dissenso non sia da imputare, invece, allo stesso partito o gruppo parlamentare, che ha cambiato posizione politica e che può, esso, aver tradito i suoi elettori. Chi esce dal gruppo o chi vota in dissenso può, egli, averlo fatto per rispetto degli elettori. Ricordo la mia esperienza nel gruppo CDU, poi confluito nell’UDR, che la sera si esprime per non sostenere il nascente Governo d’Alema e la mattina dopo si trova nella maggioranza di D’Alema con il proprio capogruppo al Senato ministro dello stesso Governo. Il mio dissenso e poi la mia uscita dal gruppo UDR (che mi aveva emarginato, privandomi dalla sera alla mattina di ogni ruolo nelle Commissioni) erano un tradire gli elettori o lo era la decisione di un capo, notturna e non assunta democraticamente di cambiare collocazione politica?
Quanti commentatori sui giornali o sul radio-TV hanno stigmatizzato l’autoritarismo fortemente antidemocratico delle nuove regole del M5S? E’ giusto che un parlamentare stia ai deliberati del partito e del gruppo cui appartiene e con il quale è stato eletto (salvo casi di obiezione di coscienza), ma ciò vale solo se le decisioni di partito e di gruppo sono state assunte con metodo democratico. Ma quanti partiti e gruppi sono veramente democratici? Ma per lo più si tace, nonostante la violazione di una norma della Costituzione.
La democrazia è indubbiamente in pericolo e l’allarme lanciato dal suo editoriale è prezioso avvertimento, ma per trovare le cause del pericolo e rimuoverle serve anche un esame di coscienza dei comunicatori sociali, per vedere se al pericolo non abbiano contribuito loro stessi.

patti con gli elettori e politica “liquida”

L’avvicinarsi di scadenze elettorali, specie di quella provinciale-regionale, fa ritornare le petizioni per “nuovi patti” con gli elettori, per rinnovamenti di patti ed alleanze tra formazioni politiche. Le stesse persone che avevano presentato come nuova un’alleanza o una formazione politica nella precedente elezione invocano di nuovo che di produca una novità all’elezione successiva. E i mezzi di comunicazione accreditano la necessità della novità, pena la perdita di consensi, il cadere dalla cresta dell’onda. E l’onda la creano proprio i mezzi di comunicazione, giornali e TV in particolare.

Mi sono più volte chiesto quali siano le ragioni di tale esigenza di novità e se sia costruttivo sostenerle. Se sono convinto dei principi cui ispiro la mia azione politica e gli obiettivi che intendo perseguire, il modo più razionale di agire è ispirato a continuità, non alla ricerca di novità. Se dei politici puntano sulla novità e se dei giornalisti spingono a ciò, e ciò è ricorrente ad ogni elezione, sorge il dubbio che principi e obiettivi di programma siano solo un mezzo per ottenere consensi per quel particolare momento, esempio di “liquidità della politica” come direbbe il collega Bauman. La stessa parola “patto con gli elettori” evoca una distanza tra politici e cittadini, voi date il voto a me e in cambio vi prometto certe azioni. Altra cosa un rapporto eletto-elettori nel quale il primo rappresenta i secondi, ne esprime ideali e orientamenti all’azione. Non c’è alcun patto tra diversi, ma solo condivisione e comune impegno in un rapporto di fiducia che va assai oltre la logica pattizia.

Da premiare in termini di riconoscimento pubblico dovrebbe essere la durata nel tempo di un impegno politico, che risulta facilitata da un patrimonio ideale di riferimento; un tale patrimonio non si cambia secondo le circostanze e le convenienze di un momento. Il movimento cattolico aveva espresso nel XX secolo una sua presenza politica stabile, apprezzata da molti cittadini. Lo stesso si può dire del movimento operaio socialista o delle correnti laico-liberali, pur nelle divisioni e articolazioni createsi lungo un secolo. Che cosa impedisce che tra i cittadini non possa rinascere la valorizzazione dell’impegno politico a lungo termine, fondato su ideali cui si crede profondamente e che ispirano programmi di lunga durata? Sarebbe un male? Meglio la “politica liquida” che caratterizza l’oggi? La domanda interpella almeno coloro che hanno un patrimonio ideale e di riflessioni culturali, come i cristiani che hanno il grande patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, coloro che amano solidità e non liquidità, continuità e non novità. Ma interpella anche i giornalisti e gli editori, che creano opinione pubblica, l’agorà del mondo contemporaneo. E forse anche coloro che si sentono “costretti” a lanciare novità, ad auspicare nuovi “patti” per paura di non essere sulla cresta dell’onda e perdere consensi: potrebbero essere più liberi di essere loro stessi, non potendo credere che essi siano “liquefatti” nel profondo, travolti dal cinico uso strumentale delle parole e dei rapporti con gli elettori.

Alcide Degasperi beatificato sull’altare laico della storia italiana; disturba ricordarlo come popolare e democratico cristiano?

di il 17 Settembre 2017 in partiti politici, religione, storia con Nessun commento

Il 19 agosto 1954 moriva a Sella di Valsugana Alcide Degasperi; molta l’emozione in Italia. Ogni anno il 19 di agosto, prima a Trento, poi a Borgo Valsugana (per un periodo nella chiesetta di Sella, vicino alla sua abitazione per le ferie) viene celebrata una Messa in suo suffragio, alla presenza di donna Francesca (finché è vissuta) e delle figlie e altri familiari. Il Centro Studi su Alcide Degasperi di Borgo da molti anni organizza un momento di ricordo di vari aspetti della vita di Degasperi come uomo, come cristiano, come politico. Negli anni Novanta la celebrazione era occasione anche per convegni con interventi di politici aventi un ruolo nazionale, promossi e tenuti da uomini che alle idee di Degasperi dichiaravano di ispirarsi: ricordo per esperienza diretta Rocco Buttiglione, leader prima del PPI e poi del CDU, l’eurodeputato SVP-PPE Michl Ebner, Pierferdinando Casini del CCD. In chiesa non mancavano mai altri esponenti di quella che era stata la Democrazia Cristiana, sia esponenti nazionali (ricordo più volte l’on. Castagnetti) che regionali, ex Presidenti di Regione e Provincia, ex Assessori, ex Consiglieri regionali, ex segretari e dirigenti DC.
Nel 19 agosto di quest’anno non ho visto nessun esponente di rilievo della DC, salvo Aldo Degaudenz, Presidente del Centro Studi che organizza gli eventi. C’erano alcuni ex DC, ma mancavano coloro che hanno avuto responsabilità politica e amministrativa. Mancavano alla Messa e mancavano anche alla bellissima rievocazione (sala piena) del ruolo di Degasperi negli anni della Prima Guerra Mondiale, specie a tutela dei profughi trentini nei territori dell’allora impero austro-ungarico, curata da Renzo Fracalossi e dal Club Armonia. Unico consigliere provinciale-regionale in carica presente alla Messa era Claudio Cia, fondatore del movimento Agire per il Trentino. Mi scuso se non ho visto altri presenti. La grande chiesa di Borgo era piena.
Mi sono chiesto le ragioni per le quali non si sente più il dovere di ex DC di partecipare; lo ha sentito più volte il vescovo della Diocesi di Trento, qualche anno lo hanno sentito anche dei cardinali, ma non i laici già impegnati in politica. Negli ultimi due anni Il vescovo Lauro Tisi è stato particolarmente incisivo nel ricordare le virtù morali di Alcide Degasperi.
Probabilmente una parte della risposta sta nelle celebrazioni che in nome di Degasperi vengono organizzate dalla Fondazione Degasperi di Trento a Pieve Tesino, da qualche anno il giorno precedente, il 18 di agosto. I relatori invitati sono di alto interesse e prestigio (il vertice raggiunto lo scorso anno con l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella) ed è garantita l’attenzione dei mass-media anche nazionali. Salvo qualche fuggevole cenno, l’occasione di Pieve Tesino valorizza direttamente o indirettamente il Degasperi ministro, capo di Governo, non il Degasperi che cerca di tradurre nell’azione politica l’insegnamento sociale della Chiesa e soprattutto il suo essere cristiano, contribuendo anche in modo rilevante alla fondazione del Partito Popolare del Trentino (1905) (Unione Politica Popolare del Trentino nel 1904), alla conduzione del PPI dal 1919, alla fondazione e alla guida della Democrazia Cristiana poi. In breve l’iniziativa sostenuta dalla Fondazione e indirettamente dalla Provincia Autonoma ha “laicizzato” la figura di Degasperi, in linea con quanto la Provincia ha fatto istituendo anche il “Premio Degasperi”. Giusto e meritorio fare di Degasperi un patrimonio di tutti, anche di chi si riferisce o si è riferito a chi gli fu forte avversario in termini politici e culturali, ma ciò ha di fatto portato a svuotare la figura di Degasperi delle sue valenze personali religiose, quelle più profonde e che spiegano anche le sue azioni sul piano di governo della cosa pubblica. E chi fu del suo partito (e quindi “di parte”) si accontenta di questa beatificazione sull’altare laico della storia italiana.
Il precedente vescovo mons. Bressan celebrava la Messa del 19 agosto, ma l’enfasi sulle virtù umane e cristiane di Alcide Degasperi era tenue, consegnata per un po’ a mons. Armando Costa. L’attuale vescovo mons. Tisi, invece, non manca di sottolineare fortemente tali virtù. Ci si può chiedere perché allora non riavvia il processo per la beatificazione. Lo impone la coerenza. Chi gli ha parlato ha sentito fare riferimento alle riserve che provengono dall’Alto Adige. Mi pare impossibile che si subordini il riconoscimento delle grandi virtù umane e cristiane alla condivisione di scelte politiche attinenti alla popolazione di lingua tedesca del Sudtirolo. Non credo che lo possa fare il vescovo di Bolzano-Bressanone, ma tantomeno il vescovo di Trento. Fosse stata anche sbagliata la scelta di Degasperi al riguardo, avesse commesso anche un “peccato”, non mi consta che i santi proclamati dalla Chiesa non abbiano mai fatto errori e non abbiano mai commesso peccati. Cristiano esemplarmente impegnato, da cristiano, in politica: perché non procedere nella causa avviata da tempo?

Proposta di alcuni sindaci per una formazione civica in Trentino: elementi da chiarire

LA PROPOSTA CIVICA DI ALCUNI SINDACI: VALUTAZIONI PROVVISORIE
Si parla spesso di una prospettiva “civica”, che dovrebbe sostituire gli approcci politici, specie a livello locale, basati su ideologie. Cosa si intenda per formazione civica, lista civica, riferimento ai valori del civismo è divenuto, tuttavia, sempre meno chiaro. Il documento presentato da alcuni sindaci trentini nei giorni scorsi chiarisce solo in parte. Cos’è l’ideologia, alla quale il civismo è alternativo? Se ideologia è il mascheramento “culturale” di interessi più o meno nascosti, il civismo vuole giustamente essere in modo opposto rapporto diretto con gli interessi popolari (ma solo questo il senso del popolarismo richiamato?).Se ideologia è l’elaborazione culturale di orientamenti di valore per una loro traducibilità in scelte politiche, il civismo non può evitare di adottare prospettive ideologiche. Quali sono? Delle tre parole d’ordine del documento dei sindaci passate sulla stampa, popolarismo, autonomismo e laicismo, le ultime due e forse anche la prima riguardano questioni di metodo; solo il popolarismo potrebbe esprimere contenuti, ma se non è inteso solo come “rapporto con il popolo”, ma come esperienza storica ispirata al pensiero sociale cristiano. Non è utile rimanere nell’ambiguità. L’autonomismo dice dei livelli territoriali di libertà di decidere (principio di sussidiarietà, di natura “regolativa”) e il “laicismo” (assai meglio parlare di “laicità”, cosa diversa dal laicismo) dice dell’autonomia da dare a Cesare, senza metter di mezzo Dio o le Chiese.
In Trentino vi è una lunga tradizione di liste civiche, espressione dello spirito comunitario locale, che rifiutava le divisioni connesse alla dialettica ideologica nazionale. Esso è stato espressione della cultura comunitaria, caratterizzata dall’importanza assegnata alla religione, alla solidarietà familiare e al legame con il territorio locale. E’ a questo civismo che si ispirano i sindaci?. Nella cultura della comunità trentina è però cresciuta la secolarizzazione, si è infragilita la famiglia, è diminuita la portata del sentimento di appartenenza al luogo e alla comunità locale. Se in precedenza il riferimento ai valori era implicito nel semplice riferimento al civismo locale, con la modernizzazione in atto non lo è più, essendo la cultura dei trentini divisa in ragione dell’accettazione o meno delle direzioni di cambiamento in atto come obiettivi da perseguire. Serve chiarezza al riguardo.
Diverso il civismo ridotto a metodo nella costruzione delle decisioni politico-amministrative dal civismo orientato a valori, che prende “parte” (diventa “partito”?), la parte che ritiene importante che le nuove generazioni non crescano solo nella ricerca del “benessere” materiale, che la famiglia non diventi sempre più fragile, che la vita umana sia tutelata e difesa sempre, che la solidarietà comunitaria cresca, che vi siano possibilità di studio e lavoro per tutti.
L’auspicio è che l’iniziativa civica di alcuni sindaci esca dalla genericità, che chiarisca come il popolarismo del loro civismo ha lo stesso sapore di quello che espresse Luigi Sturzo, che era anche autonomista e rispettoso della laicità della politica. Porre la questione al riguardo di “a chi servirà l’iniziativa civica”, se al centrodestra o al centrosinistra, è una trappola che immiserisce.

PATT “sacrifica” la sua identità: l’espulsione di Kaswalder segno di debolezza e di miopia o perdita della “fede”?

di il 2 Febbraio 2017 in autonomia, partiti politici con Nessun commento

Su l’Adige di lunedì 23 gennaio si leggono due interventi riguardanti in qualche modo il PATT, uno del suo segretario sen. Panizza e uno di un lettore, Gianni Rizzoli di Verla, che si aggiunge a un paginone di cronaca sul PATT. Sarebbe normale per esponenti politici di altri partiti, come nel mio caso, osservare e tacere, rispettando l’autonomia di ogni partito per le sue vicende interne. Proprio la lettera di Gianni Rizzoli, che dichiara di non essere mai stato elettore del PATT, mi spinge a proporre alcune riflessioni, come sociologo e come trentino.

Da un lato il sen. Panizza, che auspica un ampliamento delle competenze delle Province Autonome al campo della riscossione delle entrate fiscali anche statali; dall’altro un lettore non del PATT che si rammarica per l’espulsione dal partito autonomista di Walter Kaswalder, che nel PATT ha ricoperto per lungo tempo cariche importanti e che è venuto a rappresentare, dopo precedenti espulsioni o allontanamenti, l’area più tradizionale del partito, più interessata a mantenerne l’identità, fissata anche nello Statuto. Chi ha più meriti per l’autonomia? Chi opera per allargare le competenze amministrative del Trentino o chi opera per conservare una più chiara identità? I due obiettivi non sono di per sé contraddittori, ma lo sono nelle circostanze attuali. Per incidere di più sulle competenze è utile l’alleanza provinciale, regionale e nazionale con il centro-sinistra, che ha consentito e consente al PATT di avere la guida del governo provinciale e, assieme alla SVP, di pesare di più a livello nazionale. Ciò, però, richiede di sacrificare all’intesa con forze di tradizione non autonomista (specie con la sinistra), e per di più non di esplicita e non prevalente ispirazione cristiana (la sinistra), elementi chiari di identità del PATT, che nello Statuto dichiara di ispirarsi al pensiero sociale cristiano oltre che, evidentemente, al mantenimento dei tratti identitari “trentino-tirolesi” (non di rado perfino irrisi nei loro aspetti più visibili di folclore), e alla difesa delle autonomie locali sub-provinciali.

Walter Kaswalder (ma con lui anche pochi altri ed esponenti di rilievo dei “sizzeri”) è entrato in conflitto con l’area “governativa” del PATT principalmente su questioni di coerenza con l’ispirazione al pensiero sociale cristiano (si veda ad es. la questione “omofobia”) e con la difesa delle periferie (si veda ad es. la questione “punti di nascita” negli ospedali periferici). Non si è trattato e non si tratta di questioni secondarie, ma importanti per l’identità del partito. La scelta dell’organo di disciplina del PATT, l’espulsione di Kaswalder, segnala a mio avviso una grave miopia a medio-lungo termine. A breve scoraggia eventuali tentazioni di derogare alla disciplina di partito (o di gruppo) da parti di altri che si trovino a disagio (per la verità nei partiti democratici è sempre ammesso il voto in dissenso per motivi di coscienza) e quindi potenzia la posizione di governo, ma a medio-lungo termine costituisce indebolimento della specifica identità, senza la quale un partito diventa un’aggregazione elettorale che dura finché c’è il collante del potere e delle sue rendite.

Avendo avuto il ruolo di segretario di un partito in periodo di forte turbolenza, comprendo il disagio di chi ha responsabilità politica a dover far fronte a contestazioni e voti in dissenso. Mi chiedo, però, se il PATT non fosse nelle condizioni di sopportare tali contestazioni senza far venire meno il suo ruolo “governativo”, mettendo invece sul piatto della bilancia, in positivo, il tener viva nel partito la vocazione identitaria trentino-tirolese, di difesa delle autonomie di villaggio e di valle, di coerenza con l’ispirazione cristiana. Il non averlo fatto è evidente segno, nel migliore di casi, di debolezza, ma forse anche di non essere più sensibile al mantenimento e allo sviluppo della specificità della sua identità.

La “modernizzazione” del Trentino, specie la sua secolarizzazione, unite alla sua “italianizzazione” crescente può aver indotto i responsabili attuali del PATT a non credere più nella proponibilità ai trentini della sua specifica identità. Sarebbe una perdita per tutti i trentini, poiché un’autonomia che perda il suo fondamento identitario ha le gambe corte. Uomini come Kaswalder e donne come Linda Tamanini, (che lo ha difeso) non servono l’autonomia certamente meno di chi “al potere” ha capacità di incidere sulla sua portata amministrativa. E ciò dovrebbe far sopportare qualche “inconveniente” che può infastidire chi guida o gli alleati di governo.

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