Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Quotidiano trentino il T: scelta di sinistra radicale per utero in affitto

di il 1 Dicembre 2024 in etica pubblica con Nessun commento



Egregio direttore.

il quotidiano T del 28 novembre dedica l’intera seconda pagina all’esperienza di una donna americana che ha scelto di mettersi a disposizione di una coppia di gay italiani che desideravano un figlio. Il ruolo scelto è di incubatrice di un ovulo fecondato di altra donna. Mi sarei aspettato che il giornale oltre a presentare l’esperienza di incubatrice lieta di soddisfare il desiderio di due gay, avesse presentato quanto di disumano vi è, del tutto taciuto anche nelle domande dell’intervistatrice. Un bambino definito come dono a qualcuno è ridotto ad oggetto. Si regalano oggetti,non esseri umani. Lo si poteva fare con uno schiavo, ma fortunatamente la schiavitù à stata abolita. E che sia disumano risulta evidente anche dal fatto che per fare il regalo del bambino lo si genera privandolo della madre e dopo la gravidanza anche della donna che ha fatto da incubatrice, per essere consegnato a due uomini, senza magari sapere quale è forse padre biologico. Quello che conta è soddisfare un desiderio. E l’articolista poi dà spazio alla critica della legge che considera reato una pratica disumana anche se compiuta all’estero. Capisco che il quotidiano che Lei dirige abbia una parte dedicata a “canpi liberi”, ma la scelta di dare spazio a pratiche disumane con spirito di simpatia rivela una linea culturale che speravo non condivisa da chi, forza economica e socio-culturale trentina, ha deciso di dare ai trentini un giornale governato da loro. Evidentemente ho avuto attese sbagliate,

Distinti saluti

Renzo Gubert
iNVIATO AL T MA NON PUBBLICATO

Il T : il sacro è retorica. O invece lo è il secolarismo?

di il 23 Settembre 2024 in religione con Nessun commento

Il T pubblica il 14 settembre un editoriale di un ricercatore della Fondazione Kessler, Claudio Ferlan, storico del cristianesimo, intitolato “La retorica del sacro”. Partendo da episodi di (probabile, aggiungo io) strumentalizzazione da parte di politici di fede e simboli cristiani giunge a negare legittimo e razionale fondamento a qualsiasi legame tra credenza religiosa e scelta politica. Si tratta di “retorica” del secolarismo condita di sarcasmo. “Dio e gli dei non hanno nulla a che spartire” con le scelte politiche afferma il dott. Ferlan. Sono riandato alla mia formazione nell’Azione Cattolica prima del Conciio Vaticano II, durante e dopo. In nessuno documento conciliare, in nessun pronunciamento del magistero ecclesiale, in nessun corso di formazione di cristiani laici è stato assunto che non vi sia un rapporto tra fede cristiana e scelte politiche. La vocazione alla “consecratio mundi” era presentata come propria del laico cristiano. Il Vaticano II ha insistito sull’impegno del cristiano nelle realtà temporali, come anche il magistero dei papi da Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI a Giovani Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Il rapporto tra fede cristiana e scelte politiche non è meccanico, si deve avvalere dellla riflessione razionale anche sulla base dell’esperienza storica e certo non si può ridurre a ostentazione di simboli. Il pensiero sociale cristiano e l’esperienza storica che ad esso si ispira devono essere fondamenti ineludibili. Ma le semplificazioni che odorano di strumentalità non possono portare chi non sacralizza il secolarismo a trascurare il fatto che i valori che devono reggere l’umana convivenza e le scelte di bene comune si trasmettono anche con simboli.

Nella mia non breve esperienza parlamentare sono stato membro per una decina d’anni della Commissione Difesa. Simboli e riti sono pane quotidiano di chi opera in ambito Difesa e Polizia. Sacralizzazione dello Stato, della Nazione sono nutrimento quotidiano dell’impegno di uomini, donne e strutture. E’ solo retorica? Lo si dica al Presidente dela Repubblica, si chiami con tutti i nomi,da Einaudi a Mattarella. E perché dovrebbe esserlo per l’uso di simboli cristiani da parte di politici cristiani, anche se pubblici peccatori? Se fosse solo retorica, secondo il ricercatore della Fondazione Kessler si dovrebbero criticare i crocefissi nelle aule pubbliche e i presepi nelle scuole materne, o ancora le feste religiose dal calendario delle festività pubbliche. Scelte di sacralizzazione del secolarismo. Penso al politico cui è intitolata la Fondazione nella quale il dott. Ferlan lavora. Non credo che sarebbe in sintonia.

Giusto criticare i politici pubblici peccatori che ostentano simboli cristiani, ma al fine di richiamarli a coerenza e indurre pentimento dei loro peccati, non di celebrare una politica secolarista. E non a caso di ritorno dal suo ultimo viaggio apostolico in Asia e Oceania Francesco ha indirettamente rimproverato non solo Trump, come fa il dott. Ferlan, ma anche la Harris, entrambi peccatori “politici” contro il V Comandamento. Da un principio religioso Francesco ha tratto un orientamento politico. Retorica?

Inviato a il T e dopo molti giorni non pubblicato

A PERGINE LA CHIAMANO FESTA DELLE FAMIGLIE, MA E’ LA FESTA DELLE COPPIE OMOSESSUALI CON FIGLI RESI ORFANI DI PADRE O DI MADRE PER SODDISFARE EGOISTICI DESIDERI

di il 5 Giugno 2024 in famiglia con Nessun commento

 

I silenzi dell’editoriale abortista del quotidiano T

di il 9 Maggio 2024 in etica pubblica, famiglia, sanità con 1 Commento

Egregio Direttore dott. Casalini, 
il numero del 3 maggio del giornale da Lei diretto affida l’editoriale a una professoressa associata di scienza politica, Alessia Donà, che considera diritto della donna incinta abortire e si esprime negativamente sulla possibilità che nei consultori familiari vi sia una presenza associativa motivata a rimuovere gli ostacoli che una donna può incontrare nel portare a termine la sua gravidanza. Da trentino che ha subito apprezzato la presenza in Trentino di un quotidiano autonomo espressione di forze sociali ed economiche locali mi chiedo se vi sarà occasione di leggere un editoriale che non dimentichi in tema di tutela della vita umana quanto la professoressa Donà tace e che non tratti da reazionario, come viene fatto per la ministra Eugenia Rocella, chi ricorda che la legge 194 è intitolata in primis come tutela della maternità e consente l’aborto solo a certe condizioni. Se fosse un diritto delle donne disporre della vita e della morte del bambino o bambina che portano in grembo, non avrebbe senso sottoporre l’autorizzazione ad abortire a procedure complesse e se proprio si vuole insistere a chiamarlo “diritto”, si dovrebbe onestamente aggiungere che è un diritto condizionato. Si dovrebbe anche aggiungere che se un medico o un’infermiera possono rifiutarsi di metterlo in pratica perché ciò violerebbe la loro coscienza, vuol dire che se anche lo si vuole chiamarlo diritto, non è certo un diritto che la coscienza di molti considera tale, ma considera uccisione di un essere umano. Se i favorevoli a chiamare “diritto” tale uccisione sono ostili a presenze di associazioni di sostegno alla maternità, pur previste anche dalla legge 194, perché susciterebbero nella donna che decide di abortire “sensi di colpa”, ciò significa che è un diritto del cui esercizio si potrebbe anche vergognarsi, essendo chiara la sua natura di soppressione di un essere umano in formazione. Non è facile convincersi che è solo gestione del proprio corpo, come anche l’editorialista sostiene, mai mettendosi dalla parte di chi viene soppresso. Costa così tanto riconoscere la verità? Mi permetterei di suggerire alla prof. Donà di leggere i risultati delle ricerche di Donatella Cavanna, anche lei già docente di psicologia a Trento e poi pofessoressa ordinaria all’Università di Genova. La coscienza della donna si ribella anche non volendo all’esperienza di abortire. Abortire viola l’essre profondo di chi abortisce. Perché tacerne? Si fa proprio un servizio ai diritti delle donne o si mascherano ferite difficili e lunghe da sanare?

Finora non pubblicata,

Degrado della democrazia



l’Adige del 1°maggio pubblica un articolo di Paolo Pombeni che denuncia quelli che lui definisce “errori” dei leader politici nel fare le liste per le elezioni europee. Ne condivido l’analisi e accentuerei considerazioni critiche di merito, che vanno oltre l’opportunità. Per chi, come me e altri, è impegnato a riattivare il partito della Democrazia Cristiana come strumento per continuare n Italia una presenza politica di ispirazione cristiana, vedo accresciute le distanze delle forse politiche dal pensiero sociale cristiano. uno dei fondamenti della nostra Costituzione e dei suoi valori. Trent’anni fa era stata netta la distanza verso la riduzione della riflessione politica al marketing elettorale per piazzare un candidato e la sua lista. Ricordo le critiche verso la “discesa in campo” di Berlusconi e la sua lista di Forza Italia espressione di un’azienda di pubblicità e televisiva. Ora i leader della destra, del centro e della sinistra PD ripetono il modello allora criticato di Berlusconi. Nel 1994 fui candidato del PPI che con Martinazzoli aveva posto distanze con l’impostazione berlusconiana. Ora anche il centro laico post-azionista e quello che unisce “renziani e radicali” ha ceduto alla medesima impostazione, ripetuta da Forza Italia post-berlusconiana, nonostante l’ambizione di questa di rappresentare in Italia il popolarismo, salvo negare collaborazione con la riattivata Democrazia Cristiana, il partito di Sturzo e di Degasperi, fondatori in Italia del popolarismo e della Democrazia Cristiana. Nel nostro collegio abbiamo l’opportunità di votate SVP, espressione autentica di popolarismo autonomista, ma altrove FI ha chiuso le porte.

Le prossime elezioni europee vedono anche un ulteriore degrado del comportamento politico, la presentazione di candidati che lo fanno senza alcuna intenzione di scegliere, se eletti, di rappresentare l’Italia nel Parlamento Europeo. Romano Prodi è stato il primo leader a denunciare simile pratica truffaldina; qualcuno si è aggiunto, ma il silenzio dei mass media e della politica, come dell’élite culturale, sindacale ed economica, salvo eccezioni, è impressionante. Non solo si tace sulla prassi delle candidature multiple che dà in mano al plurieletto la possibilità di decidere chi sarà poi eletto nei collegi, ma anche sulle candidature fasulle, corrompendo il principio che le elezioni parlamentari sono fondamento della democrazia, non il fac-simile di un sondaggio d’opinione.

E arrivo a un terzo sintomo di degrado, la riforma costituzionale che il centro-destra ha proposto in Parlamento. Tutto il potere che conta a una sola persona che ricopre il ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri. Si aggiunge il favore alla riforma anche da parte di Renzi, che vorrebbe riprodurre il modello del “sindaco” per l’intera Italia. La democrazia è ridotta all’elezione di un capo ogni cinque anni. Siamo lontani anni luce dall’impostazione ispirata al pensiero sociale cristiano (ma anche liberale e di sinistra non estrema) secondo il quale la democrazia si esercita sempre, come partecipazione alle decisioni e come controllo, non solo con elezioni. Non basterà alla destra la vicinanza all’etica cristiana in materia di valori non negoziabili per conquistare il voto di chi si ispira al pensiero sociale cristiano, che ha una concezione assai diversa della democraticità delle istituzioni. Non basta Hobbes, non basta un contratto fatto ogni cinque anni; serve il personalismo di Maritain, servono le analisi di Tocqueville, serve la democrazia partecipata delle encicliche sociali.

La fedeltà ai valori si testimonia, del resto, anche nella vita personale e i passi verso il degrado della politica confermano il degrado verso i disvalori testimoniati dalla propria vita privata.


INVIATO a l’ADIGE il 1° maggio e finora non pubblicato

Studenti stressati: come mai?

di il 29 Marzo 2024 in cultura, scuola, università con Nessun commento

il T quotidiano del 27 marzo dedica ampio spazio alle valutazioni sulla circolare che l’assessora provinciale all’istruzione, Francesca Gerosa, ha inviato alle scuole consigliando i professori a non dare compiti a casa per le vacanze pasquali. Alcuni giorni fa veniva presentato il risultato di un’indagine sulla quota di studenti che soffre di stress, una quota straodinariamente elevata. Il rappresentante degli studenti valorizza la preoccupazione di chi guida la scuola per il loro “benessere”. Giusto difendere l’autonomia scolastica, che non è solo in capo ai docenti, ma a tutte le componenti della scuola, ma altrettanto giusto che chi ha responsabilità politico-amministrative sulla scuola formuli osservazioni e stimoli riflessioni, senza peraltro la pretesa di avere poteri di comando. Ma non è per questo che disturbo, ma per esprimere uno stato d’animo rispetto alla dichiarata fragilità psichica degli studenti nell’affrontare il futuro. Come mai la scuola è vissuta con stress? Quando ero giovane studente la scuola era la strada per realizzare la propria crescita culturale e professionale. Non a molti era concesso di percorrere questa strada fino ai più alti livelli di istruzione. La Costituzione lo garantisce anche a chi era privo di risorse ma era bravo. Essere bravi a scuola era un obiettivo. Ricordo che alle elementari per essere più bravo degli altri non mancava chi, come me, studiava in anticipo le pagine del sussidiario. C’erano momenti di stress (che per me si manifestava con conati di vomito anche senza aver fatto colazione), ma sono stati rari: ricordo l’esame di matematica all’Università, primo anno, dal cui esito dipendenva la possibilità di ottenere il presalario e quindi poter frequentare l’Università. Uno stress simile lo sperimentai quando dovevo decidere se indebitarmi molto per comprare casa o quando a Kampala il gruppo di ricercatori che guidavo venne assaltato da militari in un colpo di stato. Stress forti e superati, ma per tutto il resto della vita, anche da giovani, la vita era vista non come stress, ma come sfida da affrontare, come impegno. Che razza di benessere degli studenti è quello che che riduce gli impegni, gli sforzi, i sacrifici per avere più tempo libero, per poter passeggiare assaporando cose che piacciono? Ricordo che quando ero giovane non potevo fare i compiti per le vacanze perché i miei non avevano i soldi per comperarmi il “libro per le vacanze”, qualche rara volta regalato dal maestro che lo riceveva in omaggio dall’editore. Solo i benestanti potevano permetterselo. Certo ci vuole equilibrio, certo occorre dare spazio anche ad attività educative extrascolastiche; certo serve lasciare tempo anche per attività sportive, certo serve dare spazio per la vita di famiglia, ma ripensiamo sulle ragioni per le quali scolari e studenti vivono in stress, anziché con gioia e speranza il loro tempo.

Inviato al quotidiano T e finora non pubblicato

 

Omicidi in famiglia: bastano le deprecazioni e le manifestazioni?

di il 26 Gennaio 2024 in famiglia, religione con Nessun commento



L’episodio di uccisione e suicidio della coppia Palmieri Moser nelle valli di Cembra e di Fiemme sta interrogando tanti sul come arginare il fenomeno. La ricetta più indicata è quella di sensibilizzare opinione pubblica e agenzie educative al valore del rispetto dell’autonomia reciproca di membri della coppia. Serve insegnare, specie ai maschi, che il partner di una relazione ha tutto il diritto di rifiutare o interrompere o cessare la relazione, indipendentemente dalle conseguenze che ciò può avere su eventuali figli. Ci si può chiedere se non sia rilevante anche il grado di accettazione delle difficoltà di relazione tra i membri della coppia. Nei racconti di come andavano le relazioni un tempo, non era infrequente sentir dire che tra due genitori i rapporti non erano molto positivi, ma che stavano insieme sopportando, soprattutto per amore dei figli. Ma si può andare ancora più in là: occorre che vi sia una adeguata preparazione al matrimonio, o comunque ad iniziare una stabile convivenza. Da giovane sposo ero talvolta chiamato a intervenire nei corsi che la Chiesa Cattolica organizzava (e ancora organizza) in preparazione del matrimonio. Citavo spesso quanto in un volume di Fulton Sheen, arcivescovo di New York, aveva scritto, dal titolo “In tre per sposarsi” e che mi era apparso utile e convincente. Il “terzo” del matrimonio era Dio, il rapporto con il quale consentiva alla coppia di maturare un amore vero e stabile. Il rapporto doveva superare la fase dell’innamoramento, che non dura molto, per arrivare a quella dell’amore-carità, vale a dire di una scelta non più solo emotiva ma anche razionale di voler bene all’altro anche dopo che se ne sono scoperti i difetti, cosa normale nell’evoluzione di un rapporto di coppia. Il “Terzo” è Colui che dà la forza della stabilità della capacità e della decisione di amare nonostante difetti e disillusioni. E senza conoscere il libro di Fulton Sheen, questo è quanto vivevano le coppie. Nei corsi cui contribuivo si insegnava anche che la maturazione dalla fase dell’innamoramento a quella dell’amore, che doveva avvenire prima di sposarsi, era facilitata se nel periodo dell’innamoramento si rinunciava al rapporto sessuale, le cui dinamiche emotive e relazionali ostacolavano altre dimensioni del dialogo di coppia, relative ai valori da condividere e alla capacità di controllare gli istinti. Da quando ero giovane fidanzato e sposo il clima culturale è assai cambiato, anche per effetto dei mezzi di comunicazione di massa e ora elettronici. Ciò che conta è l’innamoramento: solo su di esso possono iniziare i rapporti sessuali prematrimoniali, può iniziare la convivenza e addirittura concepire figli e,di fronte a difficoltà, non si valorizza più l’amare l’altro nonostante i suoi difetti, non si tiene nel conto il bene dei figli eventuali, si deve ricorrere alla separazione e, se sposati, anche al divorzio. Il partner (per lo più il maschio) deve accettare la privazione, il rifiuto di continuare la relazione, poco importa se va in crisi esistenziale. Se la relazione fosse maturata in amore, con il sostegno per i credenti del “Terzo”, sarebbe più facile mettere nel bilancio anche l’altro.

In una società nella quale la cultura dominante rende il piacere criterio regolativo, nella quale la stabilità della convivenza conta assai poco privilegiando provvisorietà, assenza di impegno ufficiale neppure di impronta solo laica, si può certo cercare di arginare le esplosioni di violenza, ma sfilate e articoli sui giornali e interventi nei dibattiti televisivi sono poco per far superare il senso di deprivazione che scaturisce da un abbandono. Meglio poco che niente, sono qualcosa di più di ciò che in trentino si chiama “peti par la toss”, ma i fondamenti del rispetto assoluto per l’altro sono altri.

INVIATO A L’ADIGE E NON PUBBLICATO; PUBBLICATO DA IL T

L’Adige e il suo vaticanista

di il 26 Gennaio 2024 in famiglia, religione con Nessun commento

 

Anche i contestatori perdono memoria: il caso di Marianella Sclavi nei primi anni di Sociologia a Trento

di il 27 Ottobre 2023 in università con 1 Commento





ho letto con piacere l’intervista che il T ha pubblicato il 26 ottobre alla sociologa Marianella Sclavi. Pur partecipe della “combriccola” che organizzava le contestazioni studentesche a Trento, era sempre un viso gentile e sorridente, sempre ben considerata e amica (meglio “compagna”) dei leader. Mi pare doveroso fare alcune precisazioni, come matricola n. 842, ma che ha vissuto quei primi anni del corso di studi di Sociologia, interessato allora non a cambiare il mondo ma ad acquisire le competenze scientifiche per capirlo. E vengo alle precisazioni: non sapevo che Marianella era la matricola n.2, ma sono certo che la matricola n.1 non era uno studente di Bolzano, come dice Marianella, ma un mio amico di nome Pierluigi Kinspergher di Tonadico, già seminarista con la telara, per qualche anno commissario del Comune di Tonadico e poi tragicamente scomparso a Praga. Non si laureò per difficoltà in qualche esame e fu un suo grande cruccio. Seconda precisazione: i docenti dei primi anni di Sociologias non erano giovani di poco più anziani degli studenti: erano cattedratici già ordinari in altre università, a cominciare dal prof. Mario Volpato di Padova, matematico e Direttore, Giorgio Braga di Milano, sociologo e vice-direttore, Luigi Meschieri, di Roma, psicologo, i professori Barbieri (Storia economica) di Verona, Tentori (Antropologia Culturale) di Roma, Metelli (Psicologia generale e sociale), mi pare di Padova, Cucconi (Statistica) di Trieste, Gentile (Dottrine sociali) di Padova, Filippo Barbano (Sociologia strutturale) di Torino e tutti gli altri che si possono leggere sugli annuari. Prodi venne a insegnare Economia Industriale al seguito di Beniamino Andreatta, come altri. La docenza di Sociologia era molto qualificata, non improvvisata da giovanotti da poco laureati e i primi contestatori non ne apprezzarono la qualità. Terza precisazione: non è vero che Beniamino Andreatta insegnava saltando in piedi sulla cattedra quasi ballando; lo fece clamorosamente una volta nel corso di un’assemblea di studenti e con quel gesto intimorì un po’ i contestatori, abituati ai vecchi docenti compassati. Cordiali saluti

Renzo Gubert (contestatore dei contestatori negli anni 1965-69)
Inviato a l quotidiano T e finora non pubblicato

morale sessuale cristiana: sparite le certezze?

di il 16 Ottobre 2023 in famiglia, religione con Nessun commento
Egregio Direttore,

leggo sempre con interesse le pagine di “Noi in famiglia”: rappresentano una guida e una conferma ragionata di principi. Mi ha invece sorpreso quanto pubblicato nell’ultimo numero di domenica scorsa 8 ottobre, in particolare l’articolo sulla “svolta irreversibile del Papa” e l’articolo che valorizza le posizioni “gender” e Lgbtq. La chiave: l’assunzione del principio regolativo del discernimento per il giudizio morale sui comportamenti umani. Una volta si insegnava che la coscienza per essere assunta a giudice morale di condotte deve essere “retta”, vale a dire conforme a verità e ciascuno ha il dovere di formarsi una coscienza retta. Il discernimento frutto della coscienza trova un limite nel legittimare condotte in norme oggettivamente fondate e stabili, ossia irreversibili? Può la coscienza legittimare moralmente condotte quali l’aborto volontario, il divorzio, l’utero in affitto, l’infedeltà coniugale, relazioni sessuali extramatrimoniali, rapporti sessuali con persone dllo stesso sesso e altri comportamenti oggettivamente contrastanti con la morale sessuale “oggettiva”, come tale insegnata anche ufficialmente da sempre dalla Chiesa? Capisco l’ambizione di teologi moralisti di dimostrarsi “moderni” e comprensivi, capisco anche che un Papa si preoccupi di presentare una Chiesa accogliente, ma l’accoglienza del peccatore non può lasciare al giudizio di moralità a una valutazione soggettiva. Non ogni pulsione verso condotte richiede comprensione, ma può richiedere anche l’impegno al suo controllo, non dimenticando che dopo il peccato di Adamo l’uomo è inclinato al male e tale inclinazione va combattuta con energia, magari, anche se non è più di moda, con l’aiuto dei sacramenti, della preghiera, del sostegno della comunità cristiana.

Lettera inviata ad Avvenire e non pubblicata fino ad oggi
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