Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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A quando lo sblocco della causa di beatificazione di Alcide Degasperi da parte del vescovo di Trento?

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ome ormai da molti anni, il Centro Studi su Alcide Degasperi di Borgo Valsugana, presieduto in questi anni dall’on. Aldo Degaudenz, ha organizzato a Borgo la Santa Messa in suffragio di Alcide Degasperi proprio nell’anniversario (66 anni) della morte, il 19 agosto. Di solito prima della Messa organizzava un’iniziativa culturale su Degasperi “uomo e cristiano”. Prima ancora erano parlamentari del CDU, Buttiglione e parlamentari CDU in Trentino, con la partecipazione dell’on. Ebner, eurodeputato del PPE, a organizzare nell’occasione un incontro politico sulle prospettive di impegno politico ispirato al pensiero sociale cristiano, richiamando la figura di Degasperi. Causa Covid 19 quest’anno il Centro ha rinunciato all’incontro culturale. Tuttavia la celebrazione della Messa da parte dell’arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi non ha mancato di esprimere con forza le qualità umane e cristiane di Alcide Degasperi, quest’anno valendosi, accentuando qualche tono, anche della bellissima “lectio magistralis” tenuta, per iniziativa della Fondazione Trentina Alcide Degasperi, il giorno 18 a Pieve Tesino da parte della Presidente della Corte Costituzionale prof. Marta Cartabia.

Un tempo erano il fratello dell’arcivescovo Sartori, postulatore della causa di beatificazione, e mons. Costa, di Borgo, a tenere l’omelia, illustrando soprattutto le doti cristiane di Alcide Degasperi. Poi fu direttamente mons. Bressan, arcivescovo, a farlo, pur con toni meno forti. Da buon diplomatico sapeva, infatti, che non poteva entrare in contraddizione con il fermo che la causa di beatificazione di Degasperi aveva subito proprio da parte sua, ordinario della diocesi, di fronte alle riserve e contrarietà espresse dalle autorità ecclesiali della diocesi di Bolzano-Bressanone per motivi esclusivamente “politici” (le decisioni del patto Degasperi- Gruber avrebbero sacrificato, con inganno (?), l’autonomia sudtirolese, inserendola nel “quadro regionale” che comprendeva anche il Trentino).

Tutt’altro il taglio delle omelie di mons. Tisi, fin dall’inizio del suo magistero episcopale. Gli accenti volti a evidenziare le virtù eccezionali di Alcide Degasperi, innanzitutto come cristiano e poi come uomo e come politico, sono stati sempre forti. Nell’omelia ultima, alla domanda lasciata aperta dalla prof. Marta Cartabia sull’origine in Degasperi della sua eccezionale capacità umana e politica di portare in porto la Costituzione e di governare “dal centro”, inteso come capacità di fare sintesi delle varie posizioni, mons. Tisi, come penso molti dei democratici cristiani presenti a Pieve e a Borgo per la Messa, dà la risposta: le virtù umane e politiche di Degasperi venivano dal suo vivere il Vangelo di Gesù Cristo, pur con il contributo di altri elementi umani, richiamati nella “lectio” come il suo essere “uomo di confine”.

Non è la prima volta che, di fronte a una posizione forte di mons. Tisi, gli venga posta la domanda del perché, di fronte alle eccezionali virtù umane e cristiane di Alcide Degasperi, non provveda a sbloccare la causa di beatificazione nella sua fase preliminare diocesana. Il 19 scorso il contrasto fra ciò che viene detto e ciò viene fatto sulla causa di beatificazione era così evidente che per un attimo mi è venuta la tentazione di imitare Paolo Sorbi (che aveva tutt’altre motivazioni), gridandolo in chiesa. Ma dopo la messa, sul sagrato della chiesa, non ero l’unico a rilevare la contraddizione. Possibile che motivi etnico-politici, tra l’altro presenti in un’altra diocesi, si sacrifichi la segnalazione alla comunità cristiana, almeno per la fase preliminare diocesana, delle straordinarie virtù umane e cristiane di un uomo politico, certamente di rilievo nazionale ed europeo? La comunità cristiana, anche diocesana, è frantumata politicamente. E non solo per differenze di valutazione sui problemi, ma anche sul senso stesso dell’impegno politico. Dei documenti al riguardo del Concilio Vaticano II nessuno più parla. Basta celebrare Degasperi nelle omelie una volta l’anno? Spero che mons. Tisi ripensi la sua scelta e faccia proseguire il cammino delle procedure canoniche previste. La DC nazionale ha deciso di sostenere tale cammino.

Pubblicato dal Trentino

Sinistra e destra: osservazioni a Vincenzo Passerini

di il 28 Agosto 2020 in partiti politici con Nessun commento

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Sul Trentino di giovedì 27 agosto Vincenzo Passerini torna sulla questione delle grandi disuguaglianze economiche, soprattutto a scala globale, evidenziando come solo la sinistra politica tende ad eliminarle, mentre la destra fa l’opposto, ossia le favorisce e le valorizza in quanto “motori della storia”. Si tratterebbe di una differenza ineliminabile fra destra e sinistra, legata al fatto che per la prima esse sono “naturali” , mentre per la seconda sono un prodotto dell’organizzazione economica e politica, cambiando la quale le disuguaglianze possono venir rimosse.

Può sorprendere che dopo i fallimenti di tentativi utopistici e quelli ben più pesanti dei regimi comunisti vi sia ancora qualcuno che ripropone pari pari l’ideologia di Marx ed Engels, che è stata la base dei tentativi di Lenin, Stalin, Mao Tse Tung di realizzare quei cambiamenti strutturali socio-economici che avrebbero prodotto l’uguaglianza, non facendosi scrupoli di usare la violenza e lo sterminio di intere categorie di persone per realizzarli. Forse Vincenzo Passerini, nella foga del sostenere la sinistra in prossimità delle prossime elezioni, si è lasciato prender la mano, riprendendo posizioni tipiche del “sessantottismo” più acritico, per cui le colpe sono del “capitalismo”, che va combattuto come il sistema che genera il massimo “male” sociale.

Anche depurato da riminiscenze sessantottine marxisteggianti, l’intervento di Passerini sollecita ulteriori riflessioni. La prima è la riduzione dello spazio politico alla contrapposizione di destra e sinistra. Da ricerche ripetute la distribuzione delle persone in merito alle preferenze politiche non è dicotomica, ma lungo un continuum, che vede la maggiore concentrazione sulle posizioni centrali, a “campana”. Ed è proprio questa preponderanza del centro che consente di combinare la libertà che consente alle diversità di esprimersi e la solidarietà di evitare che una libertà senza regole e limiti generi disuguaglianze eccessive negative per il buon funzionamento di una società. Il movimento cattolico e quello socialdemocratico sono stati e sono la traduzione politica di queste posizioni di conciliazione, che consentono di beneficiare del dinamismo della libertà e del suo temperamento grazie a solidarietà, istituzionalizzata e non. E si è trattato e si tratta di una scelta, non di un ripiego perché cambiare le strutture economiche è difficile, come afferma Passerini.

Una seconda riflessione riguarda l’enfasi che Passerini e la sinistra che egli desidera danno alla disuguaglianza misurata in entità del patrimonio (e del reddito). La misura dovrebbe essere in “qualità della vita”, della quale patrimonio e reddito sono solo dei componenti. E’ un limite diffuso a ogni livello delle organizzazioni che si occupano di economia, ma che dovrebbe essere evidenziato, come già tenta di fare l’ONU. Continuare a fare del PIL il criterio di giudizio su uguaglianza o disuguaglianza della qualità della vita è un cadere in un economicismo che chi ha una concezione umanistica della qualità della vita dovrebbe evitare. E allora de disuguaglianze potrebbero avere altri sapori e la sapienza biblica, e non solo, dello stato “medio” e della temperanza potrebbe insegnare qualcosa anche nel valutare la qualità della vita di chi ha troppo, magari rendendolo infelice o asservito al denaro e al possedere, come nel valutare quella di chi vive senza grandi patrimoni. Ricordo la mia famiglia di origine, come tante altre, povera di mezzi economici, ma ricca di altre cose che contano. Senza invidie sociali.

Da ultimo una riflessione sull’affermazione di Passerini che il voler ridurre le tasse “vuole aumentare le disuguaglianze”. Dottrinarismo, che dimentica la variabile interveniente più importante, la qualità nell’uso dei proventi della tassazione. Si può ridurre le tasse e migliorare la qualità della vita anche di chi è povero e si possono aumentare le tasse e spendere il ricavato in modo da peggiorare la qualità della vita di chi ha più necessità di aiuto. Troppe tasse inaridiscono la fonte del prelievo fiscale. In effetti la sinistra non lo vuol capire, come per contro senza risorse pubbliche manca uno degli strumenti della solidarietà. L’equilibrio, ancora una volta, sta nelle politiche di centro.

IRRILEVANTE PER UN CREDENTE VOTARE PER UN SINDACO CHE SI DICE ATEO?

 l’Adige del 10 giugno pubblica una lettera di Tullio Martinelli (forse è un vecchio mio compagno di Seminario) che, commentando negativamente dichiarazioni di Baracetti sull’ateismo del candidato sindaco delle sinistre Ianeselli, chiama in causa anche me attribuendomi la dichiarazione, evidentemente da lui considerata aberrante, che “la destra è più cristiana della sinistra”.

Si tratta di una strumentalizzazione della religione, afferma Martinelli, come quella sui crocefissi o sulla corona del rosario.

Il tema sollevato ha una portata assai più ampia. La fede religiosa ha impatto sui comportamenti? Difficile negarlo. E tra questi comportamenti, vi sono anche quelli politici? Altrettanto difficile negarlo. E nel valutare l’affidabilità di un politico, a qualsiasi livello, è sbagliato tener conto delle probabili  conseguenze sui suoi comportamenti nel governare della sua fede religiosa? Perché mai tenerne conto sarebbe solo “strumentalizzazione”?

Ovviamente la fede religiosa non è l’unico carattere che può incidere sulle scelte di interesse per la collettività, e quindi sarebbe riduttivo basare solo su di essa il giudizio sull’affidabilità di una persona, ma certamente essa segnala i “valori ultimi” ai quali una persona fa riferimento. E qui da sociologo che ha studiato “valori” da una vita, con ricerche empiriche su campioni rappresentativi, in tutti i continenti, non posso non constatare come le persone più religiose sono più attente ai valori della difesa della vita umana anche nei momenti della sua massima debolezza, all’inizio e alla fine, sono più sensibili al valore della stabilità e all’unità della famiglia naturale fatta da uomo e donna, sentono di più il valore del legame alla comunità civile della quale fanno parte, specie quella locale,  unendo in ciò anche un più ampio senso di fratellanza universale. Quest’ultimo carattere, soprattutto, distingue il centro dalla destra, per la quale  il legame con la “patria” intesa come comunità nazionale è dominante se non esclusivo sia nei confronti della Heimat locale che della comunità universale, ma per gli altri due caratteri la destra si caratterizza per condividerli assai di più della sinistra, che segue impostazioni di relativismo etico individualista.

Anche per queste considerazioni vale il fatto che le risposte alla attuale “sfida antropologica” e i sentimenti di appartenenza socio-territoriale non sono gli unici elementi per valutare l’affidabilità di un politico per il perseguimento del bene comune così come una persona lo concepisce, ma se qualcuno ritiene, come me e tanti altri, che essi siano molto importanti nella gerarchia di valori, non vedo perché il dirlo sia strumentalizzazione della religione. Chi è religioso, da noi cristiano, crede in un fondamento ultimo dei principi etici, il volere di Dio, fondamento che invece manca all’ateo, che riconduce tutto a decisioni degli uomini,  e quindi sempre rideterminabili (concezione relativista). Per chi crede in Dio un ateo è meno affidabile in linea generale di un credente, perché il criterio di giudizio su scelte nel caso dell’ateo ha fondamenti assai più fragili, fermo restando che vi possono essere credenti (deboli) meno affidabili di atei (che almeno possono condividere profonde convinzioni umaniste, anche se convenzionali).  Il giudizio di Baracetti su Ianeselli esprime quindi un sentimento di ovvia diffidenza di un credente verso chi ha altri valori “ultimi”, ha altre concezioni del senso della vita e del mondo. Non è “strumentalizzazione”; semmai una “semplificazione”, estendendo a una singola persona un giudizio che invece vale, a mio avviso, e solo probabilisticamente, per un’intera categoria.

Orari esercizi commerciali e festività

di il 15 Luglio 2020 in COMMERCIO, famiglia, religione con Nessun commento

Paolo Piccoli: per risolvere le dissonanze derivanti dalla sua scelta di sinistra muta i connotati politici di Alcide Degasperi

Lettera inviata al Direttore de l’Adige

Su l’Adige di domenica 5 luglio in prima pagina è riportato un commento critico di Paolo Piccoli alla presentazione il giorno precedente del candidato sindaco di Trento Marcello Carli davanti al monumento ad Alcide Degasperi che la DC volle erigere in piazza Venezia. Secondo il notaio, già segretario provinciale della DC ed ora capolista di una lista di appoggio al candidato sindaco della sinistra Ianeselli, si sarebbe trattato di una indebita appropriazione della figura di Degasperi. Evidentemente c’è qualcosa che rimorde la coscienza dell’amico Paolo Piccoli: gli suona un evidente rimprovero non solo da parte degli zii Flaminio e Nilo Piccoli, ma dello stesso Alcide Degasperi, il fatto che abbia abbandonato ogni sentimento di appartenenza al loro partito, la Democrazia Cristiana, per schierarsi con un candidato sindaco che con il cattolicesimo politico e sociale non solo non ha nulla a che vedere, ma che su principi non negoziabili per un cattolico, come la tutela della vita dal concepimento alla morte naturale, sul riconoscimento che la famiglia è quella fondata sul matrimonio di uomo e donna e sulla tutela della piena libertà di educazione, si trova su posizioni opposte.

E allora nega legittimità a rivendicare una continuità di valori e di prospettiva politica a una candidatura che, invece, ad Alcide Degasperi, ma anche a Flaminio Piccoli, del quale Paolo è stato collaboratore a Roma, si richiama. E tace sul fatto non solo che Marcello Carli è stato, ancor giovane, impegnato nella DC di Piccoli e poi in formazioni di ispirazione cristiana come l’Unione Democratico-Cristiana e di Centro, ma tace anche sul fatto che a sostegno di tale candidatura si è schierata la Democrazia Cristiana, partito che ha ripreso l’attività a seguito di sentenze definitive che hanno stabilito in modo definitivo che la DC non è mai stata sciolta. Ricordo che al riguardo mi chiamò a casa sua Flaminio Piccoli, per invitarmi a seguirlo nel suo progetto di ripresa della DC. Questo suo progetto non riuscì, ma ne riuscì uno successivo, dopo la sentenza della Cassazione del 2010, ed ora la DC di Degasperi, di Sturzo e di Moro (queste le figure richiamate nella tessera) è strutturata in tutte le regioni, compreso il Trentino. Proprio giovedì scorso si è tenuta a Roma l’Assemblea della Federazione popolare dei democratici cristiani, sorta per iniziativa della DC per ricomporre la diaspora dei democratici cristiani e dei popolari, ed ha scelto il simbolo per le prossime elezioni, lo scudo crociato, nel quale si riconoscono anche l’UDC e il CDU che tale simbolo avevano utilizzato, con varianti. E a piazza Venezia, futuro piazzale Degasperi, a sostegno della candidatura di Marcello Carli, già vicepresidente di un’associazione cattolica di imprenditori e dirigenti, c’era lo scudo crociato della Federazione e c’erano esponenti della DC trentina.

E’ curioso che Paolo Piccoli censuri il riferimento, anche nei simboli, ad Alcide Degasperi da parte di coloro che del partito fondato e retto da Degasperi fanno tuttora parte, a partire da sue scelte di sostegno a chi fa riferimento a ideologie e prassi che Degasperi combattè da posizioni di centro. Sorprende che un esperto di storia della DC come Paolo Piccoli travisi il senso di una frase detta da Degasperi a un comizio a Predazzo (il senso era la sensibilità alla giustizia e alla solidarietà sociali) per far passare l’idea che Degasperi voleva una DC alleata della sinistra. Per la verità non sorprende poi tanto: la psicologia insegna che in caso di dissonanza interna in una persona, questa cerchi modo impropri di risolverla, convincendosi che siano vere cose che non lo sono. E’ quanto ripetevano esponenti del PPI quando hanno provocato la spaccatura del PPI di Martinazzoli, arrivando alla fine a dissolversi nell’erede principale del PCI, il PD. Degasperi era un democratico cristiano e come tale rifiutava sia gli autoritarismo di destra e di sinistra e univa a ciò l’ispirazione alla dottrina sociale della Chiesa, che a partire da Leone XIII, ha inaugurato una nuova storia del cattolicesimo politico. Mi dispiace che la persona che, in situazione personale mia di grande incertezza, mi incoraggiò in modo decisivo a scegliere l’impegno nella DC come candidato al Parlamento, giunga ora a manipolare la figura di Alcide Degasperi,  trasformandolo in un sostenitore della sinistra, tacendo, allo scopo dei molti pronunciamenti e delle molte scelte che lo hanno fatto avversario deciso della sinistra dei suoi tempi. Ora la sinistra è cambiata, certo, ma in peggio con riferimento ai valori dell’umanesimo  cristiano attinente a principi non negoziabili.  E Paolo Piccoli tace al riguardo.

FINORA NON PUBBLICATA

Congresso mondiale sulla famiglia a Verona; giuste le critiche di area cattolica di essere troppo di parte?

Penso giusto in una rubrica intitolata “Dialogo aperto”, non limitarsi a dire la propria, ma rispondere a chi esprime critiche a quanto si è detto, sperando che ciò sia la premessa per far crescere il dialogo nella comunità cristiana. Per questo Le scrivo in risposta a una lettera pubblicata su V.T. del 14 aprile a firma di Giuseppe Valentini (che non conosco). La mia lettera pubblicata la settimana precedente, critica nei confronti del Suo editoriale in merito al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, gli ha lasciato “ l’amaro in bocca”. Vengo accusato, assieme all’autrice di un’altra lettera, di non “leggere la parola fondante della famiglia stessa: amore e accoglienza”. Non capisco il nesso con quanto avevo rilevato criticamente, ossia l’accusa da Lei mossa al Congresso di Verona di essere “di parte” e il rilievo prioritario che i cattolici dovrebbero dare al problema demografico anziché ai problemi dell’aborto e della natura della famiglia, unione stabile di uomo e donna aperta alla procreazione. Perché quanto da me rilevato sarebbe trascurare il fondamento della famiglia, ossia amore e accoglienza, o addirittura espressione di “supponenza se non odio”?

Il problema, per Valentini, starebbe nel non essere “accoglienti” verso le diversità. Certamente ho cercato e cerco di educare i miei cinque figli e le mie quattro figlie a vivere la loro sessualità in modo normale, vale a dire in accordo con il loro sesso genetico e biologico e mi dispiacerebbe se ciò non accadesse. Se ci fossero dei problemi (per ora grazie a Dio non ci sono), cercherei di aiutarli per superarli, come mi auguro che cultura, scienza e politica cerchino di aiutare a superarli coloro che ne soffrono. Lo stesso vale per le scelte di fare famiglia; cerco di far capire ai miei figli che i rapporti sessuali non sono un gioco erotico, ma vanno riservati alla coppia che ha assunto le sue responsabilità reciproche e verso i figli. Da cristiani i rapporti sessuali assumono in più un significato ancora più grande, quello di essere “sacramento di Grazia” l’uno per l’altro. E cerco di conseguenza che cultura e politica si pongano l’obiettivo di favorire la stabilità della famiglia, la fedeltà tra i coniugi, e cerco che la Chiesa non abbia timore a dire, come fece un vescovo di New York, Fulton Sheen, che è bene “essere in tre per sposarsi” (e il terzo è Dio) e che ha un grande valore la verginità prima del matrimonio, tra l’altro occasione per approfondire i rapporti di coppia anche sul piano spirituale e culturale, premessa per la stabilità futura. E per questo sarei sordo ai principi morali dell’accoglienza e dell’amore?

Ancor più strano il richiamo di tali principi che Valentini fa a proposito dell’aborto in caso di gravidanza indesiderata o di una gravidanza in presenza di una anomalia del nascituro. Mi sembrerebbe di poter dire che se si è animati da amore e accoglienza, per prima cosa si dovrebbero accogliere i figli già vivi nel grembo materno anche se indesiderati o se con delle anomalie. Forse che essi non sono esseri umani, e per di più inermi, in stato di debolezza? Dov’è la coerenza con i principi morali di amore e accoglienza se si legittima l’uccisione di un essere umano, perché scomodo? O almeno si ha “comprensione” per tale uccisione? Ci si scandalizza, da ipocriti, per l’evidenza di una statuina che riproduce il feto d’uomo a pochi mesi dal concepimento e si tace sul fatto che la realtà nei reparti di ginecologia, sostenuti con i denari di tutti, è assai peggiore, con feti d’uomo estratti fatti a pezzi e poi messi tra i “rifiuti speciali”. E si viene a dire che in fondo va bene perché si evitano aborti clandestini? Certo mi impegno per evitare che tali uccisioni “seriali” trovino il sostegno dei pubblici poteri e della cultura dominante. E mi permetto di criticare il mio settimanale diocesano quando scrive in un editoriale che il dire chiaramente queste cose è “di parte”, anche se l’accusa di essere di parte è dovuta, come credo, al fatto che l’iniziativa non era stata presa dalle organizzazioni ecclesiali ufficiali, come molte prese di posizione critiche e di presa di distanza lasciano intuire. “Io sono di Paolo e io sono di Apollo”: il quadro condannato da San Paolo si è ripetuto e la Chiesa Italiana ne è stata vittima. E il risultato è il disorientamento perfino su principi morali fondamentali. Bene!, Anzi male, malissimo.

scritto 14 aprile 2019

Che senso ha dare diritto di voto agli adolescenti?

Mi chiedo quali siano le ragioni per le quali i responsabili delle politiche nazionali, europee e globali hanno tributato enorme attenzione e testimoniato grande accondiscendenza alle manifestazioni che giovani teen-ager hanno tenuto in molti paesi, specie occidentali, per denunciare la necessità di cambiare modello di sviluppo, dando molta più importanza alle tematiche ambientali, con particolare attenzione ai cambiamenti climatici. In Italia è poi bastato che un ex-presidente del Consiglio del PD, ritiratosi dalla politica attiva, proponesse di dare il diritto di voto ai sedicenni per sentire un coro entusiasta di consensi, dalla sinistra alla destra, con rivendicazioni di primogeniture nella proposta.

Se in una famiglia i figli adolescenti fanno valutazioni critiche sulla conduzione familiare, di solito i genitori o i fratelli o sorelle maggiori cercano di esporre le ragioni per le quali si sono adottate certe condotte o fissato certe regole. Se gli adulti della famiglia seguissero entusiasti le critiche dei familiari adolescenti verrebbe da chiedersi se hanno quello che in trentino si direbbe un po’ di “scraiz”, ossia un po’ di intelligente buon senso nell’esercitare il loro ruolo educativo.

Sociologia, psicologia, antropologia culturale sono unanimi nel riconoscere che nella società moderna si diventa adulti molto più tardi di un tempo. I nostri genitori e molti di quelli di noi con i capelli grigi, a 14 anni (ma informalmente anche prima) andavano a lavorare, contribuendo alle spese della famiglia di origine e mettendo da parte risorse per la propria futura. Le ragazze preparavano la dote. Fatto il servizio militare si pensava a metter su famiglia, entrando nel mondo degli adulti. Ora l’istruzione obbligatoria, in varie forme, arriva ai 18 anni di età, percentuali alte proseguono gli studi e si arriva a superare i cinque lustri prima di affacciarsi al mondo del lavoro. Se ci sono difficoltà per il lavoro, si vive da disoccupati o precari per anni. Per farsi una famiglia c’è tempo, la sessualità è largamente gestita in forma ludica e provvisoria, senza assumersi la responsabilità verso il partner e verso figli. Troppo chiedere decisioni definitive e stabili. E’ di fatto un’adolescenza prolungata. Ebbene, non si capisce perché di fronte a un’età adulta che ritarda, anche psicologicamente, debba invece essere anticipata la responsabilità di determinare le scelte collettive, da sempre prerogativa dello status di adulto, che ha imparato ad assumersi almeno la responsabilità di un lavoro e di formarsi una famiglia. Dapprima la maggiore età era a 21 anni, poi si è portata a 18. Ed ora è difficile che si possa pensare che, dando il diritto di voto a 16 anni, non si debba riconoscere a 16 anni la maturità propria della maggiore età, con grandi conseguenze sociali.

Ritorna la domanda: per quali ragioni persone di ogni orientamento politico vogliono dare il diritto di decidere sul futuro della comunità locale, nazionale ed europea ad adolescenti che non hanno ancora dimostrato di sapersi assumere responsabilità di adulti?

La spinta è certamente venuta dalle manifestazioni ambientaliste guidate da una sedicenne del Nord Europa, molto partecipate. Si è scambiata la mobilitazione di teen-ager che ha le stesse caratteristiche di quella che avviene per una concerto all’aperto di un cantante alla moda per segnale di maturità politica. La comunicazione detta “social” (ma l’altra cos’è?) rende facile ritrovarsi per qualche happening. E’ bello fare qualcosa di inconsueto. Che molti autorevoli scienziati italiani (ma non solo) abbiano richiamato la prudenza nello spiegare le variazioni climatiche come effetto delle attività umane (senza considerare i cicli dell’attività solare) è per tali giovani irrilevante, eppure dicono che bisogna seguire gli scienziati!

Se non ricordo male, negli anni Sessanta i giovani pensavano ai 3M (mestiere, moglie, macchina) e ciò era giudicato un po’ troppo conformista e “materialista”. Oggi i seguaci della sedicenne nordica pensano a studiare senza sapere che mestiere faranno, rimandano a dopo i trent’anni il tentare di fare una famiglia, almeno provvisoria, ma non rinunciano alla macchina con i soldi di papà. E si adattano anche a una che usa petrolio, nonostante il denunciato “effetto serra”. Ma si credono non conformisti; a New York per l’ONU la loro portabandiera va in barca a vela (e il ritorno?). Possibile che tanti adulti non capiscano la portata di effimero che hanno le mode adolescenziali?

scritto 3 ottobre 2019

Utile una ricerca valutativa sull’uso dei fondi per la cooperazione internazionale

Sul Trentino dell’11 maggio è riportata una lunga intervista a una responsabile di un’associazione che opera per lo sviluppo, nel caso specifico illustrando le iniziative a favore di una zona periferica del Vietnam. L’annuncio di una riduzione dei fondi provinciali per la solidarietà internazionale, vista la loro non trascurabile entità, metterebbe in crisi progetti e possibilità di mantenere l’attuale numero di dipendenti.

Non si tratta che di una delle realtà associative operanti nel settore che ha espresso forti critiche circa il ventilato dimezzamento dei fondi provinciali destinati alla solidarietà internazionali. Senza pretendere di avere in ogni caso ragione, sulla base di molte esperienze a stretto contatto con iniziative di sviluppo e di aiuto internazionale, in America Latina (Brasile e Argentina) e in Africa (Uganda), ho maturato alcune convinzioni.

La prima è che la solidarietà anche in termini economici con popolazioni povere non è compito solo delle agenzie internazionali, governative e non, ma può e deve investire tutti i livlli nei quali si struttura la vita collettiva, dai più piccoli, come le comunità locali, ai più grandi. A fatica si è maturata una sensibilità al riguardo in Italia e anche in Trentino e si è deciso di sacrificare una parte delle proprie risorse per aiutare chi è in condizioni di indigenza, tanto più se in qualche caso (vedi il Chaco, in Argentina) erano in condizioni difficili discendenti di trentini. Saggiamente non ci si è limitati da dare il pesce a chi aveva fame (e carestie ce ne sono sempre), ma si è puntato per lo più a insegnare a pescare, fornendo la canna, l’amo e l’esca. Più rischiose iniziative per costruire rapporti di pace tra popolazioni in guerra, come accaduto ad es. nella ex Jugoslavia. Sempre difficile misurarne l’efficacia e decidere quando il compito si può dire finito, ma comunque si tratta di “costruire la pace”, compito importante quanto aiutare lo sviluppo.

La seconda convinzione è che, dovendo dare all’impiego di risorse una scala di priorità, questa, accanto alla solidarietà con chi ha origini nella nostra terra, deve tener conto della condizione di bisogno non solo della popolazione che si intende aiutare, ma anche della società più ampia, dello Stato, nella quale tale popolazione è inserita. Se una nazione dal punto di vista economico ha raggiunto sufficienti livelli di benessere, il dovere di rimediare alle indigenze interne spetta innanzitutto ad essa. Tanto più se al suo interno vi sono forti disuguaglianze, per cui le condizioni di indigenza sono correlate all’esistenza di pochi ricchi cui importa poco correggere la situazione a favore dei più poveri. In Brasile e in Argentina, ad es., vi sono ceti molto ricchi e popolazioni molto povere. Se pensiamo noi a risolvere i loro problemi di povertà (o di contribuire a risolverli), esoneriamo il Paese a pensarvi. Prioritario è, a mio avviso, aiutare popolazioni povere in Stati poveri, in difficoltà ad assicurare a tutti livelli dignitosi di vita. Per tornare alle mie esperienze dirette, gli aiuti alla regione del Karamoja, in Uganda, dovrebbero essere prioritari rispetto a quelli in paesi in forte crescita o con livelli più alti di reddito, come il Brasile o il Vietnam.

Se posso dare un consiglio, primo compito della Provincia e della Regione in tema di cooperazione internazionale dovrebbe essere una verifica del rispetto di criteri di priorità, da definire con il concorso anche di chi sul campo opera e da adeguate ricerche valutative dei risultati. Se il taglio dei fondi è un modo di manifestare una qualche insoddisfazione circa le azioni di aiuto e di sviluppo condotte e in atto, assai meglio è una loro valutazione, combinata con un insieme di criteri di priorità. I sacrifici che anche i trentini sono chiamati a fare per la solidarietà tra popolazioni anche lontane sarebbero meglio capiti.

scritto 11 maggio 2019

Trattare diversamente le “seconde case” degli originari da quelle dei turisti

di il 31 Dicembre 2019 in Urbanistica con Nessun commento

E’ dei giorni scorsi l’emergere sui giornali locali della proposta di rivedere o di abolire la “legge Gilmozzi” sulle seconde case. Da un lato alcuni sindaci e albergatori preoccupati e dall’altra gli imprenditori del settore edile e del mercato immobiliare favorevoli.

Negli anni della mia attività politico-amministrativa nel Comprensorio di Primiero, in qualità di assessore all’Urbanistica portai all’elaborazione e poi all’approvazione, avvenuta all’unanimità dell’Assemblea, del Piano Urbanistico Comprensoriale, fondato su due “novità” che allora non erano scontate. La prima: no ad aree per costruire seconde case e sì ad aree per l’edilizia sociale e agevolata e ad aree edificabili di proprietà di residenti che intendevano costruire la prima casa per la propria famiglia o per i figli già adulti. La seconda: sì alla ristrutturazione di baite a scopo di residenza temporanea anche di tipo turistico (in precedenza era consentita solo per uso agricolo, pur con abusi e aggiramenti diffusi), purché fosse coltivato il prato di pertinenza, riservando una parte dei vecchi fienili per il deposito del fieno.

Gli Uffici provinciali competenti fecero qualche resistenza contro le due novità, ma poi le approvarono anche tecnicamente e il PUC, approvato dalla Giunta, divenne esecutivo. Poi venne la buriana sui comprensori, la politica decise di ridare ai Comuni la competenza urbanistica (salvo linee generali di indirizzo) e questi allargarono un po’ le maglie sui masi, mentre la legge Gilmozzi introdusse per i comuni turistici dei vincoli sulla nuova edificazione nonché limiti alla modificazione della destinazione d’uso delle baite.

Ora viene lamentata l’esistenza di case nuove invendute a causa, si pensa, del vincolo a prima casa. Si tratterebbe di fare allora una deroga, non si capisce ancora se temporanea, tipo “sanatoria” o se a regime. Si presuppone che ci sia una domanda non soddisfatta di seconde case, che potrebbe trovare soddisfazione nelle prime case rimaste invendute (da quando? e per quanto tempo?). Condivido l’idea che l’aumento di seconde case in comuni ad alta intensità di turismo sia una strategia sbagliata. Come già detto in altre occasioni, l’offerta di seconde case è utile alla comunità solo per avviare l’attività turistica in aree a bassa o nulla attività turistica; per esse non hanno senso limitazioni, anzi, avrebbero senso incentivazioni, esenzioni. Lo stesso dicasi dove si registrano abbandoni e degrado di masi di montagna. Laddove l’attività turistica è avviata e sviluppata, invece, alla comunità serve che essa generi posti di lavoro e l’indotto occupazionale dell’attività alberghiera è molto maggiore di quella che dà la seconda casa, il cui effetto occupazionale si esaurisce quasi del tutto con la costruzione.

Quando a governare la provincia c’era la DC, si avviarono programmi di finanziamento della ristrutturazione dei centri storici rurali (oltre che urbani). Non v’è chi non veda che vi sono ancora grandi spazi per interventi di risanamento, anche in centri turistici. Lo stessa dicasi per i masi di montagna. Nel programma di coalizione dell’attuale maggioranza provinciale il Centro Popolare propose che nelle politiche del territorio, dalla tassazione alle normative edilizie e urbanistiche, fosse introdotta una categoria di persone intermedia fra il residente e il non residente, quella dell’”originario”, ossia di quello la cui famiglia di origine (almeno per un paio di generazioni?), era residente, ma che poi ha lasciato il comune per andare a risiedere altrove, per lo più per lavoro. Tale categoria ha trovato riconoscimento da poco anche nella legislazione italiana su usi civici e proprietà collettive, ma vige da sempre in Svizzera. Gli “originari” hanno la prima casa altrove, ma il mantenere un legame con la terra di origine, costruendo o acquisendo o ristrutturando o semplicemente continuando ad usare la casa che fu dei genitori e dei nonni, ha certo un valore diverso, per la comunità, del turista estraneo alla comunità che desidera avere una casa per i fine-settimana e per le ferie. Vengo da una famiglia numerosa e non tutti i fratelli e le sorelle hanno potuto restare a Primiero, ma mi pare incongruo che vengano considerati dalle normative come estranei con seconda casa. Se si riconoscesse una situazione intermedia di originario, si aprirebbe uno spazio di attività edilizia e di mercato aggiuntiva, che certo non susciterebbe le preoccupazioni di veder usato in modo poco produttivo e con effetti positivi solo a breve termine il territorio, già scarso e già in parte compromesso da un modello di turismo poco vantaggioso per la comunità.

scritto 30 aprile 2019

Giusta la proposta di don Marcello Farina di fare sciopero della messa per protesta contro scelte relative a immigrazione?

di il 31 Dicembre 2019 in religione con Nessun commento

Non mi sarei mai atteso da un sacerdote, don Marcello Farina, la proposta nel corso di un’omelia di non celebrare la messa la domenica a sostegno di un’opinione politica concernente le politiche di affronto del problema immigrazione. Giustamente il vescovo ha ricordato come la messa serva per vivere più coerentemente il vangelo. Usarla come oggetto di uno sciopero o di una “serrata” dei preti mi sembra uno svilimento, una strumentalizzazione del proprio ministero di celebrazione dell’eucarestia.

Non ho mai sentito don Farina proporre nulla di simile per leggi che consentono e finanziano con denaro pubblico l’uccisione di essere umani nel grembo materno perché indesiderati, né mai egli si è distinto in dure condanne al riguardo. Lo fa su un tema nel quale le soggettive valutazioni politiche di opportunità hanno un peso assai maggiore di quello in merito alla tutela della vita umana. Di fronte a un cambiamento nelle politiche verso gli immigrati clandestini cui non è riconosciuto il diritto di asilo si può dissentire. Si poteva suggerire una fase di transizione che tenga conto delle aspettative delle persone consolidate da scelte politiche precedenti. Ma si è di fronte a una questione che non è di vita o di morte. Manca il senso della misura. Vi è un’intrusione clericale in un ambito di responsabilità dei laici. Vi è una strumentalizzazione clericale di un sacramento. Un prete ha molti strumenti per dare un insegnamento di morale. Si è ceduto al desiderio di clamore mediatico, facendo perdere autorevolezza all’insegnamento morale.

scritto 4 marzo 2019

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